
Una volta siamo stati sul Mississippi, nell’estate del 2008. Viaggiavamo in macchina e al nostro arrivo a Memphis abbiamo parcheggiato in un bel parcheggio coperto, di quelli in cui si vede anche il ferro arrugginito sotto al cemento armato. Il custode ci disse di non tornare dopo le 21:30-22 perchè era pericoloso. Trovammo da dormire in un motel in cui non vollero la carta d’identità ma ci chiesero da dove venivamo e poi risposero “dov’è l’Italia?”. A quel punto, ci siamo chiesti “perchè, già, siamo venuti in questa città?”. Poco dopo siamo andati a fare una passeggiata sul Mississippi e, solo guardandolo, abbiamo trovato la risposta. L’avevamo raggiunto dal centro della città. Vedendolo da lontano, ci siamo emozionati. Per arrivare sul lungo fiume c’erano delle scale e le scendemmo quasi di corsa, non guardando dove mettevamo i piedi. Io inciampai quasi decapitandomi. Ma mi rialzai senza un graffio. Avevo qualche anno di meno.
Il Mississippi era enorme. Ci rapì per circa un’ora poi ci allontanò, scagliandoci contro uno stormo di libellule molto grandi, una macchia nera nel cielo terso e bollente, da cui scappammo risalendo le scale, perchè sembrava davvero che fosse lì per cacciare noi. Io sono inciampato in uno scalino (forse lo stesso di prima), ho avuto paura di finire tutto smozzicato da quel nugolo scuro, anche se sapevo che le libellule sono innocue (la paura rende scemi). Ma mi sono rialzato incolume e siamo andati a bere una birra in un bar su Beale Street, vicino al BB King Blues Club. Una bella serata.
Prima di arrivare a Memphis eravamo stati a Oxford, Mississippi. C’eravamo andati soprattutto per visitare Rowan Oak, la casa di Faulkner, ma è stata una tappa sorprendente per tanti motivi. Visitare Rowan Oak è stato come visitare una casa di campagna qualsiasi, solo che era la casa di campagna di Faulkner. Gli appartenne dal 1931 fino alla morte, quindi dopo “L’urlo e il furore”, ma fate conto che questo significa che dentro ci scrisse (per esempio) “Oggi si vola” e “Assalonne, Assalonne” (che mi venga un colpo!).
Il secondo motivo per cui Oxford fu sorprendente è il suo centro cittadino, veramente confortevole, a misura d’uomo, come piace a me.
E nel centro della città, proprio affacciata sulla piazza, c’è il terzo motivo: Square Books, la libreria. Fondata nel 1979, è una delle più belle librerie che io abbia mai visto. Vi si respira un’aria da letteratura americana del XX secolo, è disordinata e ordinata allo stesso tempo e al punto giusto, e ha mobili in legno di ciliegio rovinato e una sezione di letteratura per i ragazzi paurosa. Abbiamo comprato una tazza da té con il logo ed è ancora intatta, non l’ho ancora rotta: questo mi sembra un segno.
Il quarto motivo per cui Oxford è stata una visita incredibile è il Proud Larry’s, un club. Stavamo cazzeggiando in giro quando all’improvviso è arrivata l’ora di una birra. E in quel momento eravamo, guarda caso, proprio davanti al Proud Larry’s, siamo entrati, abbiamo bevuto e uscendo abbiamo visto il programma della serata. C’era un concerto, suonavano tali Hold Steady, tu li conosci? mi ha chiesto la Fede, no, sarà un gruppo ska, ho risposto io. Stasera ci torniamo ha detto la Fede. Va bene ho detto, speriamo non sia un gruppo ska. E alla sera ci siamo tornati, dopo essere passati a rinfrescarci all’ostello.
L’ostello è il quinto motivo per cui tornerei a Oxford anche oggi stesso. Era in realtà una casa in mezzo alla campagna, un tempo in mezzo a una piantagione, un posto incantevole, fuori tutto bianco, con il colonnato altissimo davanti, la corte interna, stanze distribuite sotto i portici, sedie a dondolo di fronte all’ingresso e aria condizionata sempre funzionante, anche di notte. Ecco, questa in realtà è una cosa che ci ha fatto un po’ soffrire, in senso fisico proprio. Dentro, ci saranno stati 15 gradi. L’aria non si spegneva dalla camera e non si spegneva da nessuna parte. Disperati, la prima notte siamo andati a suonare al campanello del padrone, nel buio della campagna (non c’erano tante luci), per capire come fare, lui è venuto alla porta in mutande dopo mezz’ora, ci ha spiegato che c’era solo un interruttore centralizzato per tutte le stanze e ci ha svelato faticosamente dove diavolo fosse. Era stupitissimo che volessimo bloccare l’aria – del resto quando ci aprì la porta da dentro casa sua uscì il vento dell’Antartide – oltre che scocciatissimo perchè l’avevamo svegliato per una sciocchezza simile. La mattina dopo, i nostri vicini, marito e moglie, potevano avere sessantanni, si sono arrabbiati perchè avevamo spento tutto, “there are 40 degrees outside! 40! Outside outside outside” dicevano, ripetendo outside alternandosi, prima uno, poi l’altra. Mah. Io mi sono vergognato tantissimo ad andare a suonare al padrone di notte, ma che cazzo, 15 gradi. Inside.
Il posto comunque era bellissimo, un sogno, dovevamo starci una notte, ne abbiamo fatte quattro o cinque, e abbiamo trovato con facilità un compromesso per l’aria condizionata con i vicini: se ne sono andati subito senza salutare e per tre o quattro notti siamo stati soli, in tutta la mansion. Essere soli era figo, ma anche spaventoso.
Una breve parentesi, giusto per dare un inquadramento climatico-politico-religioso. Ho già detto dell’escursione termica giorno/notte. Un pomeriggio, usciti dalla mansion per andare in centro, all’improvviso ha iniziato a piovere che dio la mandava. Si, perchè, se piove così, da quelle parti è perchè Jesus Lord l’ha voluto, per punirci o per premiarci, dipende dai punti di vista, ma comunque Jesus Lord va ascoltato, e capito, e ubbidito. Un scione d’acqua come non avevo mai visto, con gocce fredde come il ghiaccio. Eravamo in macchina e ci siamo fermati perché non si vedeva niente, e perché non capivamo se Jesus Lord volesse punirci per l’aria condizionata o per altro. Eravamo comunque certi che fosse una punizione, quindi ci siamo fermati. Dopo 20 minuti è tutto finito e sono tornati i 40 gradi, ma li ricordo come i 20 minuti più apocalittici che io abbia mai vissuto. Tutto lavoro in più per Bubba, il custode della mansion, che avrebbe dovuto sistemare tutto il casino fatto dal vento e controllare i fiori e le piante, distrutti dalla pioggia torrenziale. Chissà quante volte gli toccava in un anno (Jesus Lord is a capitalist). Piantava e ripiantava, perché tutto doveva essere sempre in ordine, diceva il padrone. Bubba custodiva tutto il terreno intorno, ettari di campi sterminati senza un albero. Era nero, muto, grande e grosso, comunicava solo con suoni gutturali e indossava una salopette di jeans e una maglietta stracciata, sempre. E si chiamava davvero Bubba, ce l’ha detto il padrone quando ce l’ha presentato. Soprannome razzista? Nomignolo latifondista?
Oxford è davvero bella, per la mansion e per tutti i motivi che ho detto. E per il concerto degli Hold Steady. Alla sera (la sera prima della notte del blitz dal padrone? boh, non ricordo) ci siamo tornati davvero, al Proud Larry’s. Il concerto fu bellissimo. In tutti i negozi di dischi in cui sono andato dopo, ho cercato qualcosa della loro discografia e l’ho completata quasi tutta. Anzi, mi sa tutta, fino a lì. Quello era il tour di Stay Positive – che comprai durante il concerto oltre a una shopper che custodiamo ancora come la shopper con la miglior stoffa di sempre, bella grossa – il loro album migliore. Fino a quello di quest’anno, Open Door Policy, che è in assoluto il migliore che abbiamo mai fatto, dove tutti gli strumenti si equilibrano come mai prima d’ora e le canzoni sembrano scritte con un filo di gas. Talvolta la musica è triste e la voce si staglia più decisa. Ma questo l’hanno sempre fatto. Ascoltare Open Door Policy è come viaggiare negli Stati Uniti, una volta sei nel Missouri, un’altra in Oklahoma, un’altra ancora non so dove, tipo in Illinois. Avventuroso.
Il Proud Larry’s era pieno quella sera. A concerto iniziato, un local si fermò accanto a me e mi disse nell’orecchio (non so perchè, non lo conoscevo) che quello sarebbe stato l’ultimo tour nei piccoli club, che poi sarebbero esplosi e avrebbero fatto concerti negli stadi. Non è successo, almeno non negli stadi. Però in festival importanti si. Il tipo lo diceva per fargli un complimento, era gasatissimo e in buona fede, e in effetti Stay Positive è stato probabilmente il loro maggior successo ma è meglio che sia andata così, penso, cioè che abbiano avuto un po’ di successo ma non uno sfacelo. La loro musica sarebbe diventata Bruce Springsteen, bastava un attimo. Io, dal canto mio, gli Hold steady non li conoscevo fino a tre ore prima e al tipo non risposi niente. Lui non mi cagò più, io andai al banchetto del merchandise e tornando inciampai giù dalle scale di fronte al bar, ma (ancora) non mi ruppi un piede per miracolo, forse perchè ero più giovane ed elastico, o forse perchè il giorno dopo dovevo essere agile per lasciare la mansion e guidare, con gli Hold Steady a rota e al fianco della donna che 12 anni dopo sarebbe diventata mia moglie, fino al Mississippi.
Il concerto fu bello perché
– il cantante (Craig Finn) aveva una carica interminabile, quella è gente che deve dirle certe cose sennò esplode;
– un po’ cantava un po’ faceva dello spoken word abbastanza hard core;
– avevo carpito che in una canzone diceva “the early 77 Seconds”, e avevo carpito bene (la canzone è “Stay Positive”);
– hanno suonato da dio;
– avevo visto molto carico il tastierista (Franz Nicolay), che poco tempo dopo se ne andò, mi sono chiesto il perchè, ma effettivamente avevo notato che la tastiera era un po’ invadente. Adesso è tornato ed è molto più sulle sue;
– tutti sul palco facevano qualcosa anche quando non suonavano, facevano gli stupidi intendo, si divertivano;
– Craig Finn, tra un verso e l’altro delle canzoni, spostava di scatto il microfono alla sua destra, proprio come Axl Rose, ed era bello perchè, pur avendo l’aspetto di un nerd con pochi capelli, Finn aveva la movenze di una rock star che si mangia il palco, con garbo, senza strafare, ma indiavolato;
– avevo scoperto da un’intervista su un giornale locale che Finn è di Minneapolis, come gli Husker Du;
– gli Hold Steady non fanno ska ma una specie di punk rock revival e un po’ heartland rock, definizione che ho scoperto oggi e che significa tipo Tom Petty o Springsteen, il rischio è sempre in agguato vedete?, ma gli Hold Steady l’hanno per ora sempre scongiurato, non rinunciando però a timide somiglianze alla Vespa dei Lunapop. Che assurdità.
Ed ecco un po’ di video della serata:
Ed ecco il disco nuovo
https://theholdsteady.bandcamp.com/album/open-door-policy
Ciao
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