Un giorno subito dopo pranzo, fuori era estate e c’era un caldo tremendo, stavo giocando a Street Fighter, da solo. Ero tranquillo, in vacanza, tutto andava bene. A un certo punto spunta fuori da dietro la Monica. La Monica era una ragazza che avrà avuto 45 anni ma ne dimostrava 60, capelli rossi e ricrescita bianca e blu, pancia da birra e tette che sembravano due fette di carne. Lo dico perchè tra di noi c’era uno che le piaceva, Mattia, e gliele faceva vedere spesso, ma non in disparte, quindi le faceva vedere a tutti, e gli proponeva altrettanto spesso di scopare, scrollandole sotto la maglietta bianca. Quando le scrollava, io mi concentravo su una macchia di vino rosso sulla parte bassa della t-shirt, al centro, ce l’aveva, fisso, sempre fresca. Era come se almeno una goccia di ogni bicchiere di Sangiovese che si beveva andasse a finire lì. Era una buona crista. Insomma, quel giorno mi comparve davanti, proprio tra la faccia e lo schermo, urlando “Sai cos’è questo?! Sai cos’è??!” e si teneva tra il pollice e l’indice una ciocca di capelli bianchi blu rossi rappresi che le spuntava sulla nuca. “È il segno del diavolo! Me la taglio di continuo e lei ricresce, dalla sera alla mattina, e quando me la taglio mi fa male, ma un male cane!”. E iniziò a porcoddiare. Io non sapevo che dire, ma intanto Ryu mi aveva ammazzato con uno shoryuken. Scappai. Chissà che fine ha fatto, la Monica.
In generale, comunque, non ero una gran lepre con i videogame. Quando andavo in sala giochi a Cesenatico, mio fratello mi sfotteva perché preferivo l’hockey da tavolo. E via dicendo. Qualche giorno fa leggevo MONOKEROSTINA di Baronciani. A un certo punto nel bugiardino dice una delle cose più vere del mondo, almeno per me. Se una persona ti dice come sei, allora tu ti comporti di conseguenza. La mia prof. di inglese delle superiori mi disse che ero “per niente brillante” e io per tanto tempo ho pensato di essere così. Non che io sia un drago, ma quest’anno ho cambiato lavoro, adesso ho molto più a che fare con il pubblico, e ho scoperto di non essere male. Pensavo peggio. Però non è solo quello che dicono gli altri di te a rischiare di definirti, è anche quello che fai. Io per esempio ai videogiochi sono sempre stato una mezza sega e non ho mai pensato di tentare di migliorare, c’ho giocato un po’, ma poi c’ho rinunciato.
Posso dire, oggi, a 40 anni suonati, che un disco di hc melodico mi ha fatto rendere conto di una cosa della vita. La vita è imprevedibile.
Qualche anno fa ho conosciuto un gruppo punk rock italiano che a oggi ha fatto cinque dischi. I primi quattro sono Black Supplì, Apple Linder, Aquafelix Ep e Too Old Too Die Young, tutti bellissimi. Loro si chiamano Cayman the Animal e mi piacciono perché a suonare sono delle schegge ma scherzano molto, sono divertenti, e riescono a farlo con una simpatia che va oltre l’atteggiamento o quello che dicono prima, all’inizio o dopo la canzone. Per esempio dal vivo, loro fanno così: dicono due o tre cazzate, poi iniziano a suonare e a suonare, come dicevo, scheggiano, non scherzano per niente, ma la simpatia rimane. E alla fine dicono altre due o tre cazzate e poi ripartono a suonare e via dicendo. È di sicuro una cosa che viene dai NOFX però i NOFX non erano così simpatici. I Cayman sono capaci di unire un certo livello di cartola, velocità, passaggi ben definiti e buona scrittura delle canzoni, con il divertimento, tutto in uno. Adesso non dovrà essere la regola, però sono a mio agio quando sul palco c’è gente che è evidente che si diverte, poi quando si mette a suonare spacca tutto.
Il quinto disco dei Cayman è uscito il 1° gennaio 2021 e si chiama Cayman Fantasy. Con un titolo così (poteva essere anche Final Animal, ma comunque è chiaro che viene da Final Fantasy, anche a me che sono un pollo del videogame quindi presumo anche a voi, per lo meno di sicuro a quelli che hanno 35-40 anni) poteva essere solo un disco ascoltabile da dentro un videogioco. Lapalissiano no? Cioè, loro hanno avuto questa idea geniale: diamo la possibilità di ascoltarlo solo a chi gioca al videogioco! Bellissimo, ma a me tirava il culo parecchio perché non avevo voglia di giocarci.
Poi il 18 febbraio i Cayman Buonaniman hanno pubblicato il disco anche free e l’ho ascoltato anch’io. Però insomma (e arrivo al punto) mi sono pentito, ho pensato che almeno avrei potuto provarci, che tanto sicuramente il videogame era facile, non è che ci sarà stato da risolvere chissà che cosa, forse aveva lo stesso livello di difficoltà di, che so, Super Mario Bros, e poi sarei stato da solo a farlo, voglio dire, sul divano, non ci sarebbe stato il pericolo che mi spuntasse fuori la Monica da dietro. Comunque, non l’ho fatto e così facendo sono rimasto quello che ero, quello che il mio passato aveva definito e non ho neanche provato a cambiare e invece magari avrei dovuto, perché quando c’ho provato ci sono anche riuscito, a cambiare rispetto a quello che pensavo di essere dico. Ma non sempre si può vincere.
Quindi per fortuna che c’è una regola universale che vale dappertutto: il gioco è bello finché è corto. Cioè, bella idea quella del videogame, ma dopo un po’ bisogna darci un taglio. Il videogioco pixelato è un trip che una precisa tipologia di persone si fa, è un collegamento con un passato e un immaginario ben precisi, attorno al video gioco vecchio stile si crea condivisione, comunità, universo Arcade. Ci si identifica con quella roba lì e si gioca divertendosi ancora di più (io no eh, l’ho già detto?), pensando che ci sono altre persone come te che ci stanno giocando, e lo fanno perchè vogliono ascoltare un disco, lo stesso disco, tutti. Voglio dire, un’idea del genere crea unione. Però dopo un po’ è giusto fare basta. Perchè sta proprio lì il discorso: allargare la base, allargare la famiglia di cui si fa parte, fare conoscere a più persone le proprie idee, non rimanere chiusi nell’isola felice, anzi non essere proprio un’isola felice ma confrontarsi con l’esterno, l’esterno fa schifo ma molti di quelli che fanno schifo magari non sanno neanche che esiste un modo migliore e bisogna farglielo conoscere, dirgli che non c’è solo lo schifo. Proprio come dice in Boosting the underground movement as Socrates would, “Incrementare il movimento underground come vorrebbe Socrate”, la mia canzone preferita di Cayman Fantasy: trasmettere conoscenza, dotare le persone degli strumenti per comprendere la realtà, far conoscere le cose belle e fatte bene. E quindi secondo me i ragazzi hanno avuto una bella idea, perchè prima hanno raccolto intorno a sé tutti gli amici poi hanno allargato la cerchia. Idealmente e nel loro ambito, è chiaro, ma può essere un atteggiamento valido sempre. Oggi mi sento positivo, poi magari domani ricado nel pessimismo, ma oggi secondo me può funzionare.
Quando ascolto i Cayman mi vengono in mente sempre gli Hot Snakes. Suicide Invoice. Di solito. Questa volta è un po’ diverso. Cayman Fantasy è più pesto dei precedenti, rallentato, ho pensato alla trasformazione avvenuta dagli Hot Snakes ai Drive Like Jehu del primo disco, cioè praticamente nessuna trasformazione, perchè non è una cosa che ha un riscontro chiaro nelle canzoni, è una sensazione. Più una cosa legata al trascorrere del tempo, e a un certo punto diventiamo un’unica cosa fatta di quello che eravamo prima, che siamo adesso e che saremo o non saremo in futuro, ma questa trasformazione la viviamo sempre nello stesso ambiente e siamo noi a cambiare, non quello che ci circonda, a meno che non ci spostiamo di città, stato, continente. Ecco, facciamo finta che l’ambiente sia il punk rock e l’hc melodico: si tratta di un ambiente uguale da tempo, con caratteristiche e riferimenti chiari e cristallini, oltre che cristallizzati. Noi continuiamo a riconoscerci in certe sonorità ma come esseri umani scalciamo, non ci accontentiamo di stare fermi come fa l’ambiente che ci circonda. Quindi ci muoviamo dentro a esso. Ecco quella sensazione è questo movimento, è il risultato dei calci che diamo quando e se (perchè non è detto) ci sentiamo un po’ stretti. Non so se sono solo io ad avvertire un rallentamento in Cayman Fantasy o se davvero è così, a me sembra davvero così, ma è l’esito di tutto questo processo: il genere non è più propriamente il mio preferito ma i Cayman mi piacciono lo stesso per quelle cose che ho detto su a proposito della simpatia ma anche perché ho individuato in loro la voglia di cambiare un po’ pur rimanendo nello stesso contesto. Il cambiamento in questo caso mi pare un rallentamento del canone di velocità e un incupirsi dei suoni taglienti appartenenti ai generi di riferimento, ma forse sono solo io e loro quando leggeranno queste cose diranno ma che cazzo dice.
Nella prima canzone no, ma in alcuni dei pezzi dopo c’è un velo di malinconia, e la malinconia rallenta. C’è qualcosa che negli altri dischi mancava, una specie di rallentamento riflessivo. In Pillows c’è aria di Stooges e il rallentamento è potenza ma anche attacco, provocazione consapevole. Con Fred the cat si torna a spezzare i ritmi e le chitarre, up to the beat. Ma You first, Maestro ha ancora qualcosa: se non fosse molto meglio, ricorderebbe il post punk inglese di adesso. Come la vena dark di Smile cracker: momento potentissimo nel cuore del disco. Let Darby Ride va più in direzione post hard core con non hc melodico, in quel modo tipo Red Worm’s Farm. Boosting the underground movement as Socrates would è lentissima! I Cayman hanno sempre alternato pieni a vuoti, passaggi più veloci a passaggi più lenti, ma questa volta i momenti in cui il rullante raddoppia sono meno frequenti. Qualcosa si è infiltrato nell’inscalfibile hardcore melodico dei dischi precedenti.
Quel giorno d’estate, in fuga dalla Monica, sulla strada verso casa incontrai Ama. Ama era un punk della nostra città, uno tirato, vestito di tutto punto, chiodo, calzoni attillati scozzesi e cerniere ovunque. L’avevo sempre visto vestito così, quattro stagioni su quattro. Ma non quel giorno: quel giorno era in tuta e scarpe da ginnastica. Cos’era successo? Tutti i punk sulla Terra si erano estinti? Un meteorite era caduto sulla casa di Iggy Pop causandone la definitiva, fatale, dissoluzione della pelle? No, niente di tutto questo, e purtroppo me lo spiegò Ama, che era uno molto loquace, bisognava stare attenti o non ne uscivi più, si diceva in giro che alcune persone, sopravvissute una prima volta, al suo passaggio si tuffassero a terra appiattendosi come sogliole, per non farsi vedere ed evitare una seconda pezza. Io non fui abbastanza pronto a sogliolizzarmi, lui probabilmente mi scambiò per mio fratello, e mi mise all’angolo. Il panegirico verteva sul fatto che a lui piaceva un casino il punk ma dopo tanti anni incominciava a riflettere su tutto quello che ci sta intorno e che non è attitudine o musica ma solo ornamento. Cioè: “io sono ancora punk, ma diobo mi sono stancato con quel chiodo di merda di aver caldo d’estate e freddo d’inverno”. Io annuivo. “Gli altri non lo capiscono, ma io do piú importanza alla musica che a tutto il resto”. In fondo, era uno giusto che aveva capito tutto. Il giro di Ama era composto da altri tre o quattro punk, o forse cinque, tutti amici. Ecco, Ama ci stava dentro ma aveva superato la fase, incominciava a scalciare e in qualche modo a dare al punk un proprio ritmo, non quello degli altri. Cogliendo al volo una breve pausa tra una parola e l’altra, che fece per prendere fiato, lo salutai e scappai, perché non è che volevo passare con lui poi troppo tempo. Mentre ero in fuga pensai però che era più simpatico così, in tuta. Chissà che fine ha fatto, Ama. Non credo abbia indossato mai più il chiodo. Credo che a un certo punto si sia messo a fare il dj, specializzato in quella musica lì, forse per farla conoscere di più, per allargare il giro. Si cambia, e lo si fa anche perché siamo talmente innamorati di quello che facciamo che vogliamo che più persone possibile lo conoscano.
Non so quanto si proietti se stessi dentro la musica che ascoltiamo, non so quanto dentro di lei vediamo ciò che vogliamo vedere, che magari non corrisponde alle intenzioni di chi l’ha scritta, ma succede. Anzi, forse è proprio l’intento della musica e dell’arte in generale, aprirci la testa con dei suoni, delle immagini o altro, che ci facciano andare al di là del messaggio dell’autore, perchè così ci facciamo una nostra idea. Non so, ma io nel nuovo disco dei Cayman c’ho visto queste cose. Forse è tutto giusto, o forse è tutto sbagliato.
Che occhio! Una cosa è sicura: per la prima volta le grafiche non sono di Ratigher, che li ha disegnati per quattro dischi, ed era in lui che li identificavo, visivamente dico – oddio, quando li ho visti suonare con la gondola quell’immaginario ha perso fermezza, ma per un attimo. Con Cayman Fantasy invece hanno cambiato grafica, e anche grafico. Niente, mi sembrava una nota importante da mettere alla fine.
Ciao, ascoltate questo disco, Cayman Fantasy