L’accelerazionismo di tutti i giorni

Se ascolto qualcosa di meno famigliare rispetto a quello che mi è sempre piaciuto, capirlo non è semplice subito. Purtroppo non sono una di quelle persone preparate su qualsiasi ascolto. Ho perso troppo tempo per esserlo. Quindi, quando ascolto l’elettronica ci metto un po’ più di tempo a entrarci dentro. Magari leggo qualche recensione che mi dà due dritte e con i collegamenti ce la posso fare, magari le ritmiche mi prendono bene (o male) da subito. Ma non è lì il punto. È più che altro capire perché si usano quei suoni, o quegli strumenti, come viene costruita la canzone, perché, e cose così. Tutto va collegato ai testi e all’humus in cui il disco è nato, ed è fatta. Un casino insomma.

L’elettronica vuole evolversi di continuo. E il fatto è che lo fa davvero. I risultati sono frequenti ed evidenti, in un contesto di un passato ampio che torna a galla perché si scopre seme del futuro, fantasma che ne infesta la casa, in un mare elettronico di sviluppo potenzialmente senza fine che rilancia sempre il presente. Ecco, si, diciamo che non ho scoperto l’America. Però negli ultimi tempi ho scoperto una cosa che mi ha fatto intrippare di più con l’elettronica. L’accelerazionismo.

Con accelerazionismo in musica s’intende, da quello che ho capito, l’utilizzo portato all’estremo della tecnologia contemporanea e dei rumori di internet e dei device di comunicazione. James Ferraro per esempio, in Far Side Virtual, usa spesso il “plop” dell’invio della mail, come fulcro della canzone, nel momento in cui la canzone cambia direzione. A volte. Non importa che sia sempre, perchè quel suono spicca su tutti gli altri, ogni volta che c’è è più importante di tutto il resto. E siamo solo all’inizio, perché la Hollie Herndon di Platform (2015) concepisce il laptop come unico mezzo di comunicazione tra le persone. Se non sbaglio ha raccontato di essersi mollata col ragazzo via mail e di trovare totalmente normale la cosa. Device dappertutto, device per tutte le cose che prima erano solo rapporti tra esseri umani e ora vedono intromettersi, appunto, un device.

Ma per un articolo migliore e più completo sull’accelerazionismo dovete leggere questo di Valerio Mattioli del 2015. Il sottotitolo di quell’articolo è: “E se la più controversa eresia politica dell’ultimo biennio servisse a spiegare il nuovo corso delle musiche indipendenti? In ogni caso: addio retromania, è ora di tornare al futuro”.

I device fanno dei suoni. Questi suoni – con cui tutti, giovani, vecchi o bambini, abbiamo a che fare tutti i giorni – sono parte integrante della vita, colonna sonora dei rumori della città, della campagna, della montagna, dell’ufficio, della parrucchiera, del dentista, del supermercato e di tutto il resto. Sono finiti sui dischi e sono diventati la caratteristica principale di una corrente musicale. L’accelerazionismo ha preso la vita di tutti i giorni e l’ha portata di peso dentro alla musica elettronica. Prima che i rumorini digitali diventassero assoluta normalità? Dopo? Non so, ci sto pensando.

Ecco cos’ho pensato. Il laptop e il tablet sono mezzi digitali che ci servono per comunicare. L’altro giorno ho sentito in radio una pubblicità in cui un ragazzo lasciava la sua ragazza con un messaggio su Whatsapp. Forse ce ne sono state altre, non lo so non ho tenuto il conto. Il punto è che, se c’è arrivata la pubblicità, vuol dire che ormai è una roba veramente normale. Adesso lo è, ma non sempre lo è stata davvero. L’accelerazionismo è la descrizione musicale perfetta di questo cambiamento e Hollie Herndon ne è l’ultima profeta. Mmmbé, visto che il momento in cui Platform ha imposto la propria visione e quello in cui lasciare il partner via Whatsapp è diventato normale sono successi in parallelo, la Herndon non è proprio profeta. È più quella che ha diffuso il verbo per ultima, per il rush finale. Comunque il concetto è: la sua musica è l’ultimo frutto di quel tipo di rapporto con i device, che ora è normale, nella vita di tutti i giorni. Per esempio io amo il mio smartphone. Quando alla mattina suona la sveglia da spento, la sospendo, tolgo la modalità aereo e riappoggio il telefono sul comodino. Aspetto che si scarichino le notifiche. Non ce ne sarebbe bisogno, perché col wifi che pompa le notifiche arrivano subito. Ma io aspetto e alimento questo rapporto digital primitivo che mi piace molto. Potrebbe essere un amore rischioso, perché potrei riaddormentarmi. Ma dopo cinque minuti ri-suona la sveglia, piazzata in “durata sospensione 5 minuti” e questo è uno dei motivi per cui amo il mio smartphone. Dopo la seconda sveglia mi alzo e guardo le notifiche, quasi sempre prima di lavarmi la faccia.

La cosa ancora più bella è che probabilmente l’accelerazionismo è già diventato vecchio e, in questo, è ancora più vita di tutti i giorni, perché coincide con quella parte di vecchio che prima o poi interviene in tutti noi. Perché, anche se siamo giovani, prima o poi diventeremo leggermente più vecchi di adesso (come sono acuto) e i suoni dei device che dominano la vita oggi saranno il passato. Il cambiamento è così veloce che nascerà sempre (domani) qualcuno più avanti di noi, che conosce più app, che ha un telefono con funzionalità migliori, che usa un’app che ha un suono che non abbiamo mai sentito. Fra due anni, quelli che adesso hanno 11 anni ne avranno 13 e sai quante cose in più sapranno? E allora lì l’accelerazionismo sarà fatto di altri suoni, sarà diverso. L’accelerazionismo di due anni fa è di due anni fa, è vecchio come tutti noi. Il disco di Hollie Herndon di due anni fa è vecchio. Aspetto un altro disco che dica com’è il nostro rapporto con i device oggi.

Allo stesso tempo, l’utilizzo nella musica della tecnologia digitale per la comunicazione dà alla musica la possibilità di rimanere contemporanea a lungo. In Etched Headplate, Burial, dentro a Untrue – album di cui ultimamente si sta discutendo molto perché nel 2017 ha compiuto dieci anni e perché da alcuni è considerato l’album di elettronica più importante del secolo – usa di continuo (a suo modo la porta all’eccesso: in 6 minuti di canzoni si sente mille volte) la vibrazione del cellulare, che dieci anni fa era già dentro alle nostre vite e che continua a esserlo. Per cui: 1) Burial è l’album più importante del secolo anche solo per questa intuizione ripresa poi da James Ferraro (dal cui Far Side Virtual del 2011 l’accelerazionismo musicale è iniziato, secondo Mattioli) e seguaci; 2) La musica che usa i suoni della comunicazione digitale può essere nuova e vecchia, avanti e indietro, dipende da che punto di vista la guardi: se la guardi dal presente verso il passato, è avanti, se la guardi dal presente verso il futuro, è indietro; ma soprattutto 3) quei suoni dominano la nostra vita da anni, l’elettronica li ha utilizzati presto, e sono ancora oggi la rappresentazione del presente.

Nel momento stesso in cui Far Side Virtual è uscito c’era dentro qualcosa di talmente cogente da risultare quasi inevitabile da ascoltare. Molto spesso la musica usa metafore per parlare delle cose, soprattutto nei testi ma anche nei suoni. Uno dei dischi di elettronica più acclamati di quest’anno, Black Origami di Jlin, usa le ritmiche come simbolo dell’incontro tra spiritualità e movimento. La spiritualità diventa realtà nel momento in cui la riempie, la influenza e la dirige. La musica ha sempre un rapporto con la realtà, ma spesso è un rapporto indiretto. Anche qualsiasi escapismo, che descrive la strada attraverso la quale s’intraprende la fuga, ha un legame stretto con la realtà vera, perché è quella da cui fugge, è il contrario di ciò che rappresenta. Musicalmente, è il non realizzato. L’accelerazionismo, invece, ha un rapporto diretto con la realtà perché ne usa i suoni. Tante altre volte per fare canzoni sono stati presi suoni dalla realtà ma quelli scelti in questo caso, più di tutti gli altri, rappresentano la realtà in cui viviamo, perché la riempiono, la ossessionano, occupano buona parte del nostro vero tempo. Per cui, proprio perché i musicisti accelerazionisti usano smartphone e laptop esagerandone il concetto e la presenza, stanno descrivendo alla perfezione la nostra realtà. È realismo. Volendo rappresentare il futuro, ma facendolo a tutti gli effetti con i suoni del presente, anche l’accelerazionismo è vittima di fantasmi di cui non riesce a liberarsi. Non di fantasmi del passato, ma del presente.

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