21 facce (circa) per 21 gruppi: Italian Party 2017

Docente di storia della fotografia, il professor Marra non esprimeva mai un giudizio sulle cose che spiegava ma si sputtanava irrimediabilmente con il tono della voce. “Non c’è un modo migliore dell’altro, la fotografia concettuale non è meglio di quella classica” diceva, ma le 5 parole che separavano “concettuale” da “classica” erano per lui come un percorso verso l’inferno della noia. L’opinione sincera la lasciava al non detto, che più o meno era “ma se t’intrippi con la concettuale, ti cambia la vita”.

Visto che tra le sue malcelate fotte c’erano i ritratti, quelli senza tanti fronzoli, il giorno in cui ci parlò di Portraits di Thomas Ruff giuro che almeno un paio di volte gli è venuta la voce rotta. La lezione del prof. era: lo sguardo impassibile di TR rende i soggetti anonimi, aiutato dai fondali monocromatici, dai vestiti da Germania Est anni 80, da colori spenti ed espressioni neutre.

Non ricordo se li avevo anche allora, ma adesso ho dei dubbi su quell’interpretazione. Quei ritratti non sono solo piatti per come sono costruiti, sono anche esplosivi per l’effetto che fanno. È la confusione delle dimensioni: Thomas Ruff ha fatto di tutto per rendere le foto monodimensionali, ma l’ha fatto per ottenere qualcosa di penetrante. Questi ritratti non sono “anonimi”, perché c’è una cosa che rompe in modo continuativo e definitivo l’anonimato: ci sono le facce. E non solo perché sono “facce”, quelle che trovi anche nelle carte d’identità a identificare ognuno di noi. Il piattume di tutte le altre componenti delle foto ci permette di concentrarci solo sulle facce. Ed è a causa della faccia che un ritratto non può mai essere completamente inespressivo perché la faccia, anche con l’espressione più neutra del mondo, dice sempre qualcosa.

Tendo a fare foto alle persone di nascosto. C’è il pericolo che mi scoprano ed è piacevole, perché la percentuale di rischio che corro è molto bassa. Trovare il matto che mi becca e mi mena perché gli ho fatto una foto senza permesso è raro, al massimo mi guarda male. Al peggio, mi è capitato che mi inseguisse, per farmi a sua volta una foto come per, boh, spararmi con la stessa pallottola. La componente pericolo è niente se confrontata con l’ansia di chiedere il permesso. Il problema dei ritratti sta nel fatto che il permesso lo devo chiedere per forza. Quando si tratta di sconosciuti, a volte lo chiedo, altre rimango senza foto. Con gli amici, non ho grossi problemi. Sentirsi fare questo tipo di richiesta fa spesso scattare nella persona che deve essere fotografata un’emozione difficile da gestire, tra egocentrismo e vergogna, correnti opposte ma ugualmente selvagge che, scatenate in un unico momento, portano a un’indecisione folle. Alcuni la riescono a vincere, altri no. Tra quelli che la vincono, c’è chi dice comunque no. Ma ci sono anche quelli che dicono si.

Ho in mente come se fosse ieri il momento in cui Marra ha proiettato nel buio dell’aula il primo ritratto di Thomas Ruff che io abbia mai visto. S’intitola Peter Martin. Quando sono uscito dall’aula, mi sono infilato gli auricolari e ho ascoltato Sultans of Sentiment dei Van Pelt, quasi tutto, sulla strada di casa, con la faccia di Peter Martin davanti agli occhi. Quante cose ci sono al mondo così legate tra loro che se pensi a una ti viene in mente l’altra e viceversa? Non so, magari ce ne sono un treno, ma io sono particolarmente fiero di questa. Ogni tanto i ritratti di Ruff mi tornano in mente e mi torna in mente anche che sono legati a quel disco. E viceversa. Spesso riascolto quel disco e allora mi torna in mente Thomas Ruff. Poi, a volte, mi torna pure la voglia di fotografare delle facce.

Con abbastanza piacere, da qualche anno preparo qualcosa per parlare un po’ dell’Italian Party, il festival di To Lose La Track. Quando ho iniziato a pensare a cosa avrei potuto fare quest’anno, all’inizio non ne avevo idea, poi mi sono tornati in mente Sultans of Sentiment e Peter Martin. E all’inizio volevo fare delle magliette con i nomi dei gruppi che suonano al festival, una per gruppo, farle indossare a persone diverse e far loro una foto. I passaggi per raggiungere il risultato erano affrontabili, ma la percentuale di rischio che le magliette venissero uno schifo era molto alta. E ho rinunciato. Che poi perché le magliette, non so. Cioè, lo so, è perché adesso vanno tantissimo, ma alla fine vaffanculo. E se non fosse stata la mia fidanzata a darmi l’idea dei cartelli, forse avrei scritto un pippone sui gruppi e basta, che sarebbe stato sicuramente peggio, o forse no, anche perché il pippone l’ho scritto lo stesso. Comunque, abbiamo spiegato la cosa ad alcuni amici e gli abbiamo chiesto se avevano voglia di farsi fotografare. Hanno detto tutti Siiiii. Le idee migliori che mi vengono sono sempre quelle degli altri, anche perché hanno un senso. Quest’idea aveva un senso addirittura nei miei ricordi, dove i Van Pelt incontrano Thomas Ruff e la musica con le chitarre incontra il ritratto fotografico

Ad alcuni ho fatto io la foto, ad altri ho spedito il foglio e se la sono fatta da soli, o se la sono fatta fare. Band distribuite (più o meno) a caso, una sola regola: che si vedessero il nome del gruppo e la faccia. Alcuni mi hanno fregato ma l’idea c’è. Una faccia, un gruppo. Niente di concettuale quindi, ma la faccia è sempre la faccia. Scusa, Marra.

 

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