Bisognerebbe inventare un misuratore di passione per i comunicati stampa. Se è troppa, il comunicato si autodistrugge e chi lo scrive è costretto a ricominciare da capo. Il fatto che il misuratore non esista può avere due conseguenze: leggendo i comunicati mi creo troppe aspettative, oppure rido. L’ascolto può dare una vita autonoma al disco, che può schizzare via anni luce. Oppure anche rimanere nel limbo, tra gli incensi dell’ufficio stampa e l’indifferenza degli ascoltatori, o restare miseramente inchiodato a un testo di presentazione talmente invadente da rendere difficile ogni possibilità di rivincita.
Nulla è per sempre neppure l’inverno di Il mare di Ross mi è arrivato in posta come fosse uno squarcio in cielo, presentato da un comunicato stampa bomba che lo descrive come l’album del gruppo migliore del mondo nel suo genere, con qualcosa in più rispetto agli altri. Da questo punto di vista, questi comunicati (non è l’unico di questo tipo che mi è arrivato) non sono tanto diversi da quelli che leggo per lavoro, dove ogni azienda è leader del settore di riferimento: serramenti, pavimenti in legno, calcestruzzo e cose così. La musica indipendente utilizza a volte metodi di promozione vecchi e ridicoli, uguali a quelli di un qualsiasi settore industriale, che dovrebbe rielaborare e rinnovare, ma che invece adotta.
Il genere di Il mare di Ross è quel post rock virato in post hard core verso il math rock che non va tanto quanto lo pshych ma ha la sua folta schiera di rappresentanti, anche in Italia. Non tutte le volte però si trova una sintesi dei tre stili così riuscita come in Nulla è per sempre neppure l’inverno.
Non so se Il mare di Ross abbia mai pensato di cambiare qualcosa riguardo al cantato. Perché lo screamo è difficile da sostenere senza che diventi una parodia di se stesso, in particolare a questo punto della sua esistenza, dopo anni di dischi, e quando i testi sono fatti solo di struggente negatività, cioè nel 90% dei casi. La fatalità domina nei testi e si raggiungono livelli altissimi di disperazione e mancanza di controllo di se stessi. Frasi come “devo ricordare di dimenticarti” sono tra Massimo Ciavarro e i Fine Before You Came. La corrispondenza tra la disperazione e gli screams è una combinazione tanto automatica quanto deleteria e rischia di trasformare un disco in un’azione tragicomica. Tra lo screamo e il tragicomico il passo è facile. Capisco che non si possa scrivere testi sui fiori e i cuoricini ma facciamo anche basta. Nulla è per sempre neppure l’inverno rischia veramente di fare ridere più che piangere. La disperazione non è sincera, lo so già, non lo pretendo, ma almeno credibile dovrebbe esserlo. Se non lo è, bisogna inventare il misuratore di passione per i dischi: se è troppa, il disco si autodistrugga. (streamo)