Detesto quando vedo un concerto e l’atteggiamento di chi suona è eccessivo. Non so, metti il caso che io stia aspettando che qualcuno inizi a suonare e senta dire “non sono solo musicisti, sono artisti a tutto tondo”, strippo subito. A tutto tondo. Perchè m’immagino uno di quei concerti in cui il cantante si arrotola le braccia intorno alla faccia, dice cose con quell’aria sempre très fatigué, fa un passo in avanti ed è così concentrato che è evidente che crede di aver generato il movimento perfetto, insomma non la smette un secondo di fare un sacco di mosse, e io mi smarono subito.
Nei casi più gravi, non c’è bisogno di andare al concerto, basta ascoltare il disco per immaginarsi lo spettacolo: fa tutto la musica. Che, quindi, è significativa. Ma non lo è in sé. Lo è perché esprime dei riferimenti più o meno espliciti a qualcosa, a un altro cantante, a un mondo, che l’artista imita per fare in modo che chi lo ascolta lo riconosca come parte di quel mondo e per piacergli. Ma gli piace per merito di qualcun altro, o di qualcos’altro, non per quello che è stato in grado di costruire.
Su disco o a un concerto, a volte è come se le canzoni fossero composte da due livelli, la cui importanza è ribaltata: quello meno importante è la musica, quello più importante diventa tutto il resto, espressione del voler essere, del volere mostrare a tutti i costi di essere strani, disturbati, contorti, simpatici, antipatici, poeti, artisti in qualche modo. Mi sembra di poter dire che, se c’è tutta questa necessità di mettersi in mostra, manchi qualcos’altro su cui bisognerebbe invece concentrare l’attenzione, cioè il talento.
È tutta una sovrastruttura che non c’entra niente con la musica in sé, ma ha a che fare con il volere dare una determinata immagine di sé. La musica non riesce ad avere la stessa importanza dell’atteggiamento, a volte perché 1) è troppo poco interessante, altre perché 2) le pose sono così fastidiose da ucciderla. Il fatto che la musica non sia un granché (caso 1) spinge l’artista a sovrapporci qualcos’altro per renderla apparentemente più completa. E questo prevede la consapevolezza da parte dell’artista. Potrebbe anche essere, invece, un’azione inconsapevole, nel senso di ingenua, cioè uno si crede artista perché ha scritto una manciata di canzoni e allora si muove da artista, parla da artista, canta da artista eccetera. Oppure si crede anche scrittore perché è un artista a tutto tondo (e qui si verifica spesso il caso 2).
Fai musica per fare il teatro o fai musica e ti scappa fuori anche un po’ di teatro? Abbiamo tutti una scala di valori diversa, ma io, quando ascolto un disco o vedo un concertino, vorrei prima di tutto sentire della musica e non essere infastidito dal cantante. Uno può avere anche altro da dire, la musica può stargli stretta, e questo può essere ok, ma i casi in cui tutto riesce bene sono rari.
Giù dal palco, la pantomima potrebbe continuare. Non sopporto quei musicisti che quando parlano devono per forza farti capire che sono artisti, anche se li incontri al cesso di una discoteca. Fenomeno calmati. Se proprio lo desideri, potresti essere considerato artista anche solo perché scrivi bene le canzoni. Pensaci. Preferisco quelli che fanno della legna e non si vede che la fanno, si sente e basta.