In metropolitana c’era un ragazzo nero, molto alto e magro. No un regazzino, ma uno della mia età, nel pieno del limbo “se non lo faccio adesso nun lo faccio più”. Volto scavato, all’inizio era fermo e silenzioso. All’improvviso, quando il treno ha preso velocità, ha mollato il palo, con una mano si è alzato la maglia davanti, con l’altra ha iniziato a toccarsi a ripetizione tre punti precisi: fibbia, buco della cintura, passante dei calzoni. Fibbia, buco, passante. E intanto diceva cose sottovoce, in una lingua non umana. Quando ha alzato lo sguardo era molto carico e ha iniziato a rappare facendo avanti e indietro lungo il corridoio. Si capiva solo che c’erano delle rime dentro, secondo la mia opinione naturalmente tutte a livelli altissimi, tipo Eminem nel 2002. L’ha fatto per un minuto. Quando il treno ha iniziato a rallentare per fermarsi, si è bloccato e con l’indice della mano destra ha iniziato a toccarsi indice, medio e anulare della mano sinistra. Indice, medio, anulare. E intanto diceva cose sottovoce. Non ha chiesto soldi. Quando il treno si è fermato, è sceso con la tranquillità di un navigatone senza problemi psicologici. Era un power? Un furbacchione? O la sua inquietudine era vera? Io gli ho creduto.
Era la fine della nostra prima giornata a New York. In mattinata sono andato da Other Music, nell’East Village di Manhattan. Other Music ha aperto nel 1995, all’ombra di un gigantesco e vicinissimo Tower Records. Tre anni dopo, a rendere più scura e fredda quell’ombra, è arrivato anche un Virgin Megastore. Oggi Virgin e Tower non ci sono più, da qualche anno. Naturalmente Other Music c’è ancora (sinnò non c’andavo) ma chiude il 25 giugno. L’altra mattina c’era un sacco di gente. Erano tutti lì perché chiude o è sempre così? Magari non sempre, ma spesso, da quello che si legge in questa intervista a uno dei soci, Josh Madell. Le vendite vanno ancora molto bene. Allora perché chiude? Il mercato è cambiato, l’economia è cambiata, internet soddisfa prima di Other Music ogni richiesta dei clienti e non sembra esserci un futuro. “We’re trying to step back before it becomes a nightmare”, cit. È una presa di posizione realistica. Anche a New York alla gente inizia a non fregargliene niente di andare in un negozio di dischi se può scaricare comodamente da casa spendendo molto meno. È una battaglia dura quella.
Quindi quelli di OM si sono detti: fermiamoci per fare altro, che abbia sempre a che fare con la musica, ma altro. Facciamo un’etichetta: Other Music Recording Co. ha aperto nel 2012 in partnership con Fat Possum e fa uscire roba pop-psichedelica. Sempre con un occhio di riguardo per i gruppi de tendenza (cosa che vale per buon parte dello stock anche per il negozio), l’etichetta darà seguito all’attività svolta fino a oggi con il negozio limitandola alla produzione. “Vendo solo robba mia e non in ‘sto camerone de 60 metri” sembra dire Josh Madell, e sembra dire anche
“Ce stamo affa’ a guera. Quei contadini de bruklin ce stanno a rubba quei cinque cagnacci che se so fermati al 2000 e compreno ancora il supporto fisico caaaa musica drentro. Sti babbioni. Però noi con quei gabbioni ce campiamo e quindi me tira erculo”.
Il secondo motivo per cui Other Music chiude è che il centro daa musica si è spostato a Brooklyn, dove ha aperto anche Rough Trade, che non è solo un record shop ma un bar e una venue per dei gigs, mentre a Manhattan molti hanno chiuso, rimangono Bleecker Street Records e Generation. Other Music è sempre stato un negozio di dischi e stop e i proprietari non vogliono trasformarlo in altro. Nessun compromesso, nessun cazzo di bar, nessun palco per fare concerti. Ineccepibile come linea di condotta, anche perché le spese aumenterebbero non poco.
Mi vengono in mente alcune cose. Uno: mentre in Italia i negozi di dischi chiudono perché non ce n’è, a new York i quartieri si rubano i clienti. E arricchiscono l’offerta. Al di là di tutto, questo dà più valore al supporto fisico, che diventa la caramella con cui il negoziante conquista il cliente, il cibo con cui lo prende per la gola. Quindi deve essere buono e se deve essere buono lo standard della proposta si alza, in tutti i negozi. Di conseguenza quelli che aprono hanno spesso una buona proposta, aggiornata, che fa voglia, con prezzi leggermente diversi (Rough Trade è il più caro sulle novità in vinile: devono pagarsi anche il bar?). Passando da un negozio all’altro trovi da un lato una proposta simile, dall’altro una proposta particolare che caratterizza ogni singolo posto, cosa che succede anche in Italia. Se poi qualcuno decide che non c’è futuro, ha i suoi motivi, dovuti al fatto che magari non ci sono gli sghej per ampliare e cambiare l’attività, visto che Rough Trade di soldi negli anni ne ha fatti un po’ di più rispetto a Other Music.
Due: da noi, tenere la botta vendendo dischi, alcolici, cocktail, panozzi e organizzando gigs è durissima, da loro è il nuovo-vecchio trend, quello giusto, che funziona, e un povero stronzo che vuol fare il suo negozio di dischi (pure storico) se ne va affanculo non perché non vende ma perché un quartiere è meno sborone di 15 anni fa. Ed è il quartiere oltre a internet che decide di non dargli futuro. Paese strano l’America, pieno di contraddizioni. Da un lato la musica fisica vende ancora, dall’altro la moda la fa da padrona e la musica senza il trend non ha futuro.
La musica vende ancora ma deve essere addobbata di qualcosa, che può essere un cocktail o un concerto, tutte cose buonissime per carità, ma questo mi porta al punto numero
tre: il vinile non costa pochissimo in nessun posto (20-25 dollari in media, mi sembra), eppure c’è gente che s’ammazza per prenderli. Li ho visti con questi occhi. Perché va così. Bersi un drink al pomelo e mesqal con un vinilotto sotto braccio da Rough Trade costa un troiaio ma va bene: ascolti la musica giusta filodiffusa, parli con gente, finché andrà sarà bellissimo e imprescindibile. Ma quando non andrà più di moda? Niente, non succederà niente, perché molta musica figa non entra in quei circuiti, non viene ascoltata in filodiffusione, quindi continuerà a essere prodotta esattamente come adesso. Però i negozi di dischi scompariranno anche dal quartiere del momento, e sarà un peccato. Molta musica la posso comprare on line, sui siti delle etichette o su bandcamp (MAI su Amazon), anche se per li gruppi americani dall’Italia devo spendere un’unghia in spedizione, ma ci sto. Il problema non è la musica, quindi. Il problema è che sta scomparendo un mondo attorno alla musica e i posti in cui quel mondo sopravvive meno peggio (a New York, per esempio) ci riesce per altri motivi, che rendono la musica un pretesto e potrebbero sostituirla col salame, se fosse il trend del momento. E la gente potrebbe drinkare cocktail non “vegani” (visto che il vegan non sarà più di moda) e disquisire delle diverse tipologie di insaccati appesi al soffitto. I concerti sono i concerti, ed è bellissimo andarci, ma ho avuto come l’impressione che la gente ci vada perché va di moda ascoltare la musica, e le mode finiscono.
“Ma vedete d’anna’ ffanculo” direbbe il Sig. Maddell.
Non avevo mai pensato a quanto, con il tempo, possa essere rilevante, in una città come New York, la zona in cui apri. Tutto è legato a dove si sposta la tendenza. Tu puoi essere (stato) anche il negozio più figo del mondo ma hai semplicemente fatto parte della tendenza, non l’hai fatta tu. E lo scopri solo dopo anni, prima credevi di essere chissà chi. Lo stesso fatto che Other Music produca musica de trend ne è la dimostrazione. Il Village non è più il Village e se avevi aperto un’attività perché quello era il posto in cui essere, sei fregato. New York è un cittadone. Vista da fuori, detta le regole. Dentro, è piena di persone che le regole le seguono, proprio come Cesena. Magari uno ha un’idea che prende piede, e tutti dietro. Ma com’è che succede che un quartiere, inizia a dettare legge? Chi lo decide? Ho trovato questo articolo del 2011 che dice che essere residente a Manhattan o nell’East Village significa fare parte di una specie di élite. Da un certo punto di vista è vero (sto cercando di tradurre l’articolo). A Manhattan stanno un sacco di persone ricchissime provenienti da posti di vaccari come l’Arizona che decidono di passare la vecchiaia proprio lì. “Rich uncool people” vengono definiti. Quello della transumanza è un fenomeno iniziato 20 anni fa circa – quando ha aperto Other Music. A me non importa, però dal punto di vista di un negoziante che deve trovare il posto in cui aprire è un’informazione molto interessante. Anche alcune star, che potrebbero permettersi una casa a Manhattan (più cara di Brooklyn), decidono di prendersela a Brooklyn perché c’è maggior cultura (per citare il sindaco uscente di Gatteo) e più giovani. A quanto pare “Brooklyn vs Manhattan” è una questione dibattuta da tempo, discussioni su discussioni. Fermo restando che – al netto della questione economica (che se ci sei dentro significa che almeno fino ad ora te lo sei potuto permettere) – non mi dovete rompere il cazzo con la storia che non vi passa vivere a Manhattan, quello che posso fare è esprimere un’opinione superficiale basata su un’esperienza di qualche giorno. Brooklyn mi è sembrata molto più vivibile, decisamente non meno cara ma più pianificata per trascorrerci del tempo normale, non solo quello da squalo, facendo tutte le cose che devi fare per vivere e fartela passare molto bene. Anche le strade sembrano renderti la vita molto più semplice. E le case, anche solo a vederle da fuori, sono più basse, più normali, più accoglienti. Ecco perché Brooklyn sta stracciando Manhattan, perché è normcore. Col tempo la gente se n’è accorta, il normcore ha preso piede e per Manhattan è finita. Quello che interessa a me, che non andrò mai a vivere là ma potrò al massimo tornarci come turista, è diverso da quello che interessa ai local: io voglio dormire, mangiare e bere spendendo il giusto, assaggiare nuovi cocktail, non andare sotto a una macchina mentre guardo in aria e altre cose così, tra le quali vedermi un concertino e farmi un giro nei negozi di dischi. A Brooklyn a quanto pare vengono fuori come i funghi.
Quattro: per esempio a Brooklyn ci sono Music Matters e Captured Tracks. La Captured Tracks Records ha beccato nel proprio roster dei pezzi da novanta dell’indie pop contemporaneo come Mac DeMarco, Perfect Pussy, Mourn (quelli di adesso, non quelli hc) e DIIV. Negli ultimi anni ne ha indovinate di più rispetto all’Other Music e anche questo è segno del passaggio di attenzione da un quartiere all’altro. Rimane il fatto che solo nel 2013 OM Recording Co. ha prodotto il primo 7” dei Nude Beach, di Brooklyn, quindi il fatto che sia cambiato il vento non impedisce all’etichetta di andarsi a prendere i gruppi dall’altra parte del fiume e di farsi porta voce anche di quel quartiere, non per forza in termini di suono, quanto di rappresentatività.
Cinque: la moda più il quartiere giusto a NY fanno sopravvivere un negozio di dischi, un altro lo fanno chiudere. Come sempre, è la legge di Murphy.

Record Connection, Ephrata
Sei: internet sta sostituendo i negozi fisici ma negli Stati Uniti in giro ce ne sono ancora, anche dove non te l’aspetteresti, come quello a Ephrata (Washington) in mezzo alle mucche (va bene Facebook, ma hanno un sito della madonna). E qui siamo fuori città. Vale lo stesso discorso? serve qualcosa di cool per vendere? A Ephrata di cool c’è il commesso e il posto, un po’ da nerd della musica. C’è un catalogo infinito di dischi e cd nuovi e usati. Ho pochi termini di paragone per le mani e non posso dire che le mie conclusioni siano assolute, ma è possibile avere un negozio al di fuori delle dinamiche della città, come il Record Connection di Ephrata. Entri dentro e ti trovi di fronte a centinaia di dischi e cd. Al commesso vestito e pettinato come Steven Adler gliene sbatte i coglioni se si vive meglio a Manhattan o Brooklyn, mette su i Cheap Trick, fa il grosso con un cliente perché li conosce meglio di lui e (imprevedibile) mi sorride quando vado a pagargli 10 dollari per due cd usati dei REM anche se gli fanno cagare. Questo è un altro mondo ed è più o meno il paradiso, con prezzi super (15 dollari in media per i dischi, cd usati vendibili a 3 euro, come nuovi) e addirittura le novità. Ma, visto che non voglio cadere nel luogo comune del buon selvaggio, dico anche che le novità da RC costano esattamente come a Nuova York e che da Other Music ce ne sono molte di più e anche più ricercate, sempre rimanendo nel campo ristretto dell’indie punk emo noise rock degli ultimi 15-20 anni. Il che per assurdo mi fa dire che posti come quello di Ephrata, meno aggiornati rispetto ai negozi del Cittadone, sono fuori da certe dinamiche ma non agevolano tantissimo l’acquisto delle ultime uscite nei negozi e la danno vinta a internet. Lo puoi sempre ordinare, ma perdi delle possibilità di vendita di fronte a chi ti obietta allora lo ordino su internet.
Other Music era un negozio della madonna, con una buona scelta anche su altri generi come hip hop ed elettronica e prezzi buoni anche sul nuovo, in cd e vinile. Anche con le tasse, la spesa era affrontabile. Comunque, nulla è perduto, continuano a fare musica, a scoprire gente, magari tra un po’ andrà di modissima il rap e faranno fare un disco anche al mio amico, quello dell’inizio dell’articolo, che avrà 50 anni (se andrà benissimo), io sarò lì a dire l’ho visto rappare in metro quando nun era nessuno addirittura prima del demo e, naturalmente, era molto meglio.