Flippare ad agosto edizione 2015: No Joy e HEXN

No-Joy2

Sogno e rape and revenge psichedelia. Ecco due delle cose che ho ascoltato in questo infuocato inizio d’agosto, per stemperare un po’ il clima bollente degli ultimi giorni: No Joy e HEXN, che mi aiutano a rimanere incastrato nella paranoia di un settembre troppo vicino ma anche a passare in modo riflessivo qualche ora, adesso. È una seconda edizione di Morire ad agostodiversa dalla prima, meno negatività vera, più musica descrittiva di uno stato d’animo venuto fuori mentre ascoltavo e che prima non esisteva del tutto. Provare ad assecondarlo, cercare di capirci qualcosa: più flippare ad agosto quindi. Ho per le mani questi dischi, uno per riflettere un po’ sullo spazio che il pop sognante può occupare nelle mie giornate, l’altro per capire fino a che punto posso spingermi ad ascoltare della psichedelia.

Sono in ferie. Una delle cose belle di agosto è ascoltare un disco alle dieci del mattino di un giorno durante la settimana. Dallo stereo. O dal computer. Da dove volete, ma senza cuffie. Perché di solito sono in ufficio e quello che ascolto va in corto circuito con qualsiasi altra cosa io stia facendo. Suona il telefono, devo togliere almeno un auricolare. Arriva il capo, li devo togliere tutti e due, parlano i colleghi, devo abbassare il volume perché quelli sono squali. Ieri mattina ho scoperto che il 16 settembre al FreakOut suonano i No Joy, stamattina li ho messi su Spotify, ho alzato il volume e mi sono messo a cercare un F24 pagato che non trovavo. L’ultimo disco si chiama More Faithful e l’inizio (Remember Nothing) è ingannevole. Le chitarre sono compresse, il basso segna il giro con precisione e la batteria è di quelle che rincorrono sempre gli altri strumenti. Mi sarei aspettato un disco tutto così. E invece More Faithful è una sorpresa perché mantiene un’atmosfera di base dream pop o show gaze ma cambia di continuo suoni e melodie. La distorsione della chitarra, il ruolo del basso e l’incidenza della batteria cambiano sempre, si alternano nella posizione di primo piano. La differenza si palpa già tra la prima e la seconda canzone, Everything New. Molti i collegamenti possibili: i Rem e le Elastica (Hollywood Teeth), i Sonic Youth meno avvitati su se stessi (Moon in My Mouth), le chitarre dei Jesus And Mary Chain e i Radiohead (Burial in Twos), gli Sparklehorse (Corpo Daemon) e di sicuro Beach House e Slowdive.

Non ho trovato l’F24, il disco è finito e lo faccio ripartire. Quando mi viene voglia di ascoltare più di una volta un album come questo è preoccupante. Perché è uno di quei dischi che mi lascia nell’indecisione, che non mi permette di decidere mai se mi piace oppure no. Da una parte mi piace lo sforzo fatto per mettere insieme le influenze e costruirci attorno un lavoro con una parvenza di senso, dall’altra avverto la totale mancanza di originalità e di forza nel suonare i pezzi in studio. Non c’è verve, ogni cosa è controllatissima, ogni suono moderato e molto prodotto. Ci sono le idee, manca completamente la voglia di dar loro un suono adeguato in ogni sua parte e in modo costante.

Non mi piace aver pensato che sarebbe un disco buono da ascoltare, sempre d’estate, ma al tramonto, mentre guardo gli alberi della campagna dalla finestra e penso a quello che succede in Il buio oltre la siepe e a cosa potrà mai succedere nel suo seguito, mentre sono dentro a quel misto di gioia, lentezza e malinconia che mi mette in ginocchio. Però l’ho pensato. Chalk Snake è il tentativo di unire gioia e lentezza ed è la peggior canzone del disco. C’è una contraddizione che non so risolvere: mi piacciono le sensazioni ma non mi piace la canzone che quelle sensazioni esprime. Non ne esco, chiudo il discorso passando oltre. I Am An Eye Machine è una canzone carina, che mette una gran calma e allo stesso tempo una sensazione di omicidio addosso, omicidio misterioso consumato sotto casa, poche ore fa (qui è ancora mattino), di notte. Judith mette insieme qualcosa dei Chumbawamba e degli Stereolab, lega suoni dolci a suoni profondi. Possono sembrare miscele esplosive, ma non lo sono. La produzione sopprime la potenziale tendenza dei No Joy a esprimere la parte più malata delle canzoni. C’è un pubblico preciso a cui mira, probabilmente quello dream pop, e su quello sono stati tarati i pezzi. Le carenze dal lato scrittura sono chiare (Rude Films) ma è chiaro che la cosa più grave è l’appiattimento verso un direzione prestabilita. Alcuni momenti dell’album precedente Wait to Pleasure, come E e Here Tarot Lies e Lizard Kids, sono quelli da cui More Faithful si è allontanato e che invece avrebbe potuto approfondire. Così come si è allontanato da Mediumship, You Girls Smoke Cigarettes? e Heedless del primo disco (Ghost Blonde). Quelle distorsioni sono ingenue, ma sembrano infrangersi e amplificarsi su un fondale batteria basso voce di maggiore malessere, con l’insistenza del basso e l’inconsistenza della voce che rendono tutto più interessante.
More Faithful non è il mio disco dell’estate, ma mi piace la capacità di cambiare di continuo al suo interno e forse anche la sua capacità di crearmi confusione. Troppo limato, ma ambiguo. E poi c’è un bel basso. Ora lo ascolto, poi magari a settembre penso ma cosa ho scritto. More Faithful crea intorno quell’atmosfera di compromesso utile a insinuarmi il dubbio ma di breve consumo. È quel dark pop annacquato che fa uso della parola Joy per ricordare sulla carta i Joy Division. Per ora, che è estate, può andare. A settembre, al FreakOut, chissà. Capire e scendere a compromessi con l’ambiente circostante, purtroppo bisogna farlo. Se siete al mare vi saranno utili, i No Joy. Si possono anche ballare, vergognandosi un po’ ma si possono anche ballare. Lo stesso vale per il Dream Pop, che ascolto per un po’, poi mi stanco. L’unico modo che ha di attirarmi più a lungo è l’inganno, come quello di More Faithful.

Non si può ballare HEXN, più adatto agli ambienti calmi e meno affollati. Qui le cuffie sono fondamentali. Se sopra per un attimo sono le batterie a rincorrere gli strumenti, qui è tutto il disco a rincorrere me. Salvo poi ritrovarmi a rincorrerlo, per capirne il senso, per ogni momento in cui HEXN suona.

HEXN ha fatto un ep di due canzoni in febbraio (“∆O”, qui) e il 28 settembre uscirà con “al-khīmiyya – الخيمياء” per Old Bicycle Records, Non Piangere Dischi, diNotte Records e La Scatola Nera. “∆O” suona tanto antico da essere irritante. Alcuni suoni riconducono all’immaginario sitar+digiridoo, che ho sempre giudicato macchine sonore per la costruzione di un mondo intollerabile. Qui quei suoni escono tutti rigonfi, dilatati. La base su cui si sviluppano è un drone invadentissimo, più evidente in ∆ che non in O. Però c’è quella sensazione di spazio infinito resa in pochi minuti di canzone che mi piace, perché nega la necessità della psichedelia di scrivere un pezzo di 13 minuti per riuscire a trascinarti via. È un punto di vista che mi piace.

Penso si possa definire rape and revenge psichedelia, perché ti rincorre, fa violenza sul tuo cervello e poi lo rincorri tu, in uno spazio temporale veloce e circolare, senza però darti un finale con un inseguitore e un inseguito definitivi. Il fattore violento sta proprio nella capacità di incastrarti nella rete dell’ascolto per un tempo ipoteticamente infinito creato attraverso canzoni brevi da replicare più volte. Questo fa “∆O”, e anche “al-khīmiyya – الخيمياء”, che moltiplica tutto per sei canzoni. Bassi, synth, loop, echi e quel drone ritornano e replicano la macchina avviata col primo ep triplicandone la forza. Le basi elettroniche inserite inquadrano il ritmo e gli danno la spinta per diventare ancora più violento, perché l’impressione è quella di una maggiore circolarità. La ripetitività e l’eco noise ricordano i Lighting Bolt, seppure i suoni siano diversi (là un sacco di distorsioni sature, qui un modo diverso di arrivare alla saturazione: l’onda continua di un suono più pulito). Ma la struttura eterna delle canzoni (Still Praying In The Middle Of A Sun) è proprio quella. Come la voce del Muezzin dall’alto del minareto.

Dicono che al-khīmiyya sia un concept album sull’alchimia. Oltre che chimica, l’alchimia è una disciplina filosofica e accompagna lo sviluppo interiore. Questo è il punto: l’ascolto come accompagnamento lungo il cammino della conoscenza di se stessi. Un agosto caldo fa male, e fa anche questo, aiutato dai suoni alla Guerre Stellari di Since Everything Was Anything e da quelli di Now Then Black. A Sacred Ring Around The Earth ha invece questo battito impressionante, che ti entra nella cassa toracica e non ti lascia un centimetro per un respiro libero dal suono che produce.
È un buon disco da ascoltare, per più volte, poi magari mai più: non mi ha dato nessuna notizia nuova sul mio rapporto con la psichedelia pura ma mi ha tenuto inchiodato a pensare a cosa stava succedendo.

(L’F24 non c’è, mai pagato, tocca pagarlo con gli interessi).

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