Neuroni batterista. Brian Chippendale, il verme che mena coi pugni e altre cose spaventose

 

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Lo dice qui. Disegnarsi i vestiti, vivere in una comune di artisti, organizzare incontri di wrestling, disegnare copertine di dischi a cazzo. Lo odierei se non fosse che suona come un dio selvaggio. Ha l’abitudine di suonare con la faccia coperta da una specie di maschera, un calzino gigante a cui è stata tagliata via la parte sopra al tallone. Ogni volta una cappella diversa. Lui sulla batteria mena strisciando. Mi ricorda Non aprite quella porta di Tobe Hooper, la scena del tipo con la maschera che sbatte la porta. Il gigantone del film è veloce, deciso e sicuramente violento. Si sente il rumore della porta che sbatte ma anche che striscia. Violento, Chippendale è anche violento, e mena sul rullante. Ma è anche altro, è sottopelle, si muove pensando di essere nascosto ma ha sempre una base di tigna di default. Nello stesso film, la scena del nonno ha lo stesso movimento della batteria dei Lightning Bolt, in sequenza sempre diversa: follia mantenuta a basso volume, follia ad alto volume, bassa intensità, alta intensità, passaggi sempre differenti anche quando sembrano uguali per portare avanti il pezzo, finale esasperante.

Poi ci sono i cattivi di Le colline hanno gli occhi, che fanno tutte quelle cose orribili come se fosse uno scherzo, dei barbari un po’ coglioni, che secernono malattia e voglia di uccidere da ogni parte del corpo, e sono come Chippendale, che suona come se fosse un gioco, ma suda fatica ogni secondo e in ogni secondo trova l’impegno per fare venire fuori la schiuma, creata dalla collisione tra rabbia e precisione.

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La confusione delle scene e il casino dei personaggi di ‘sto film sono come i Lightning Bolt e come loro arrivano al punto: friggerci le palle sopra alla graticola della ripetizione intesa come mancanza di sviluppo continuo, pungerci il culo con le punte di un grafico fatto di picchi alti bruciantissimi e poi lasciarci andare facendoci cadere laggiù in basso nel punto più depresso. Ma ogni momento è così intenso che dello sviluppo te ne sbatti. Improvvisare, cambiare il pezzo senza cambiarlo, fare una spirale che finisce sempre dentro a se stessa, insistere su un giro per conoscerlo a fondo, per pulire il melo e poi passare a altro. Poi ritornare indietro, riscavare dove avevi già scavato trovando altre cose e passare ad altro che può essere l’altro di prima oppure no. Non come nel Seme della follia ma come nei percorsi interni, nelle cose e nei giochi nascosti della Casa nera, una cosa è sempre diversa ma ha con lo stesso scopo: incastrarti e non farti uscire. E tutto questo è incredibilmente messo a sistema.
Anche il Chicago Tribune scrive di Non aprite quella porta in rapporto a Chippendale, è una roba ufficiale. Io però dico: facciamo un film horror in cui Chippendale interpreta se stesso e chiude le proprie vittime vive dentro ai tamburi della batteria e le suona. Loro muoiono e lui li scuoia per poter utilizzare la loro pelle quando deve cambiate le pelli della batteria. Lo intitoliamo IL BATTERISTA.

Quello che forma i LB con Brian Chippendale si chiama Brian Gibson, suona il basso con un sacco di effetti e cose. I Lightning Bolt hanno fatto uscire da non molto il nuovo disco. A fine 2014 Chippendale ha fatto anche un album con Greg Saunier dei Deerhoof. È improvvisazione, a volte giocano, a volte si fanno il culo a vicenda, comunque ognuno di loro vuole sempre dimostrare di averlo più grosso. Guardare questo video ha più senso che guardare altri video, perché si vede chi fa cosa:

Il rapporto tra i Brian’s invece è complementare in una maniera sempre diversa, tanto che a volte non sembra complementare, e questa è la forza del sistema Lightning Bolt. Uno lascia spazio all’altro, sono organizzatissimi anche nel caso improvvisassero, si scontrano ma poi fanno alla pace. Ascoltare in particolare la batteria mi piaceva come idea, per tentare di definire almeno per una volta, che poi cambierebbe se iniziassi a scrivere da capo, il percorso di quelle due cazzo di bacchette e dei piedoni di Chippendale. Quindi ho fatto questo: ho riascoltato una volta tutta la discografia dei Lightning Bolt e ho scritto quello che pensavo a riguardo, senza mai riavvolgere e ripetere nessuna canzone.

Il primo disco dei Lightning Bolt si chiama come loro ed è uscito nel 1999, quando i Neurosis erano già al loro sesto album, Times of Grace, i Converge ne avevano già fatti tre, i Boredomes sei e i Ruins un sacco più di tutti gli altri. Il disordine da tribù che suona al centro di un cerchio di tamburi è un’eredità che i Lightning Bolt raccolgono dalla discografia dei Neurosis. In LB ci sono canzoni in cui la batteria è lontanissima (Mistake) e il basso fa tutto il corto circuito. È la dimostrazione del fatto che pur dovendo fare tutto con due strumenti non è necessario per forza fare casino, ma calibrarsi a vicenda, mettersi da parte quando non serve. La prima canzone è Into the Valley e qui la batteria non ha nulla a che vedere con quel modo di suonare, ripreso in Caught Deep In The Zone, perché passa in primo piano e le distorsioni la usano la batteria per tracciare un percorso insieme. O è la batteria che usa le distorsioni? Non posso davvero dirlo. In Into the Valley Chippendale fa più della metà del pezzo perché gli dà le caratteristiche ritmiche e quelle noise più circolari. Lightning Bolt non è un disco basato sulla batteria, che è una delle cose che ci sono dentro. Chippendale dentro a Zone va e viene e si alterna in primo piano con i rumori al metallo, praticamente se in molti punti della canzone togliete la batteria non cambia niente. In tre canzoni ci sono tre modi diversi di rapportarsi con il sistema di tracce del basso. Da qui probabilmente viene fuori la concezione dello strumento di Chippendale così com’è utilizzato nel disco, cioè la sua esclusiva funzionalità al pezzo e al noise. Mi viene da cercarla la batteria, tentare di ascoltare tutti i movimenti che fa, perché Chippendale non la suona come tutti, ha il suo modo, e le sue lacerazioni dell’aria spiccano per la loro insistenza ostinata sulle ritmiche. Ma è tutto funzionale al pezzo. Ci sono delle volte in cui si fa fatica a distinguere tra basso e batteria. Zone è il massimo in questo senso: c’è un livellamento della gerarchia degli strumenti (voce compresa) che mette tutti sullo stesso piano e lo scopo è l’implosione di qualsiasi tenore ritmico, di qualsiasi parte della canzone intesa in senso tradizionale. Cosa che non si può dire – prendendo il primo opposto che mi viene in mente – della Jon Spencer Blues Explosion, in cui ognuno sembra avere il desiderio di fondare un ritmo, metterlo giù per far partire il groove, che sia sporco o meno, e in cui ogni strumento vuole primeggiare pur suonando con gli altri. Che senso ha paragonare direttamente due cose così diverse? Probabilmente nessuno, ma ci sono momenti di Crypt Style (Lovin’ Up A Storm) della JSBX in cui la spavalda voglia di creare un ritmo mi ha ricordato la voglia di distruggerlo dei LB. Sono intenzioni e mezzi per ottenerle opposti e che vengono a coincidere nel momento in cui la realizzazione di ciò che si vuole ottenere tocca dalle due parti due estremi che non sono la stessa cosa in quanto estremi ma in quanto esito di percorsi che in comune hanno la saturazione dello sguardo sulla musica. L’ossessione come esito finale penso possa appartenere a entrambi. Ossessione per un ritmo bluesy, ossessione per il corto circuito del ritmo. In And Beyond Chippendale sembra Simmons (intorno al minuto 3 e chiaramente fino al minuto 3:50). La batteria è sul ring con la voce più che con il basso, che è una specie di rumore ovattato e fastidioso continuo. Quando arriva la voce, la batteria torna a concentrarsi a riempire i suoi vuoti, e la voce fa la stessa cosa coi vuoti dell’altro. E questa è l’idea su cui si basano tutti i Lightning Bolt. Che è l’opposto dell’idea su cui si fonda la JSBE, dove i tutù pa tututu pa hanno più spazio per darsi più risonanza.

Il fastidio è una delle cose su cui i Lightning Bolt insistono di più. Fastidio per noi che ascoltiamo, loro sembrano essere perfettamente a loro agio, pur consapevoli di dare fastidio. Ma il fastidio ha il suo grande fascino, come la paura. Un dialogo di Halloween fa più o meno così:

“Ho paura”
“Perché continui a guardare quel film allora?”
“Non lo so”.

Perché continuare ad ascoltare i LB? Di preciso non so, ma hanno quel modo di usare la ripetizione che mi piace un sacco. Non è la ripetizione del minimalismo ma lo è allo stesso tempo. Non è minimale, perché è piena di dissonanze che riempiono tutto, ma allo stesso tempo è molto definita, precisa nel dettaglio, pulita e chiara nel singolo percorso del singolo strumento. Fascino e fastidio.

Ride the Skies è un titolo molto più rock’n’roll, quasi The Doors, ma dentro non ce n’è neanche l’ombra. È molto difficile già da subito trovare la pace fisica, figuriamoci doversi occupare della percezione, con l’ingresso di basso e batteria in Forcefield. C’è un sacco di disordine in più rispetto all’ultimo disco, sembra registrato a caso, lascia andare la bobina che va bene. L’improvvisazione potrebbe avere un ruolo rilevante, alcune volte sembra più plausibile, altre (quando i due si sincronizzano perfettamente, chiamandosi a vicenda prima di congiungersi) non è possibile. Nei cambi, di tempo e di genere della batteria viene in mente un solo nome, John Zorn.

A Brian Chippendale non si vede la faccia perché è coperta a uno straccio. E questo è evidentemente un suo modo per non farsi riconoscere mai. Non gli riesce sempe. Ma le prime 4 canzoni di Ride the Skies hanno dettagli che si fanno notare del tutto diversi tra loro. Il charleston e la cassa in 4/4 di The Faire Folk, gli stop di 13 Monsters, il rullante da stadio di Ride the Sky e così via. Mai cercare di vedere il volto di Chippendale, perché ogni canzone ha un percorso interno diverso. Poi a un certo punto il basso di Ride the Sky diventa una motosega e lì non si capisce veramente più niente, per esaltazione, per potenza. La batteria cambia ma tiene dritto il timone, sempre in riga. Mai uguale ma sempre in riga, praticamente un incrocio tra la necessità militaresca di avere un ordine e un’artista sballato. Brian Chippendale è questo incrocio qui, niente di diverso. Non ha senso ascoltare solo 15 minuti di una canzone di 30. Altre volte, con altri gruppi, puoi ascoltare solo un ritornello che ti rimane in mente, quindi ha senso. Dei 30 minuti di canzone ascoltarne una parte soltanto potrebbe essere limitativo, saltare per esempio la fase in cui ci sono le voci che sembrano galline di Wee Ones Parade potrebbe togliere forza alla parte successiva. È per questo che è difficilissimo ascoltare un disco intero ma ce la faccio: il livello di difficoltà, dato dalla ripetitività affiancata alle variazioni improvvise e allucinate, accresce il livello di curiosità e di piacere. Batteria e basso, per ottenere questo, usano tutte la direzioni possibili del loro rapporto a due: a volte guida la batteria, a volte il basso, in alcuni casi tutte e due, oppure nessuno, quando c’è silenzio. E il silenzio è parte dei loro album, giustamente, perché ho bisogno di riposo.

La batteria di Dracula Mountain in Wonderful Rainbow tira fuori un’altra caratteristica di Chippendale: quello di saper fare il groove e la confusione allo stesso tempo. In questo disco il basso gira più stoner, con ritmi pesi ma più rintracciabili rispetto ai dischi precedenti, la batteria lo segue ma alcune volte si stacca e se ne va. La prima volta che ho sentito 2 Towers mi sono chiesto come sarebbe andata a finire. I due strumenti si alternano e si seguono in modo magistrale, cambiando l’una la direzione dell’altro e alla fine c’è un secondo di follia della batteria che mette fine al pezzo. Un secondo che è come un muro oltre al quale quella canzone non c’è più. On FireCrown of Storms sono sempre tra i pezzi migliori che abbiano scritto, più Big Black. L’arpeggio di Longstockings mi stupisce sempre, come la pazienza che in questa canzone ha Chippendale, lo dico per il suo modo di aspettare e di suonare un semplice 4/4 senza stoppine. All’inizio. Poi prende un’altra piega, la solita, con il basso che esplode quando la batteria si ferma e lo lascia fare, pur continuando a muoversi con lui. Fino a che in 30,000 Monkies è difficile riconoscere gli strumenti per il livello di unione altissimo che hanno raggiunto (Duel in the Deep). Una sbassata suona uguale a un colpo sul rullante.

Altrove, spesso, la loro musica sembra elettronica, non c’è il basso che lascia la nota libera di dimenarsi o la batteria che si libera di tutto e va serena. C’è sempre un controtempo, un alternarsi di battiti che si sfacciano e che sembrano Aphex Twin. Struttura. Qual è la struttura delle canzoni dei Lightning Bolt, esiste? Potrebbe avere lo stesso significato della matrice Matrix, un elemento matematico che rappresenta la realtà simulata creata dalle macchine. Esco dal campo Matrix, tengo come riferimento solo l’idea della struttura e parlo di musica, nello specifico di canzoni dei Lightning Bolt, non del Mondo. La struttura deve avere per forza un’origine. Oppure può essere costituita da tante origini diverse, generate dalle strutture precedenti che sono state generate dalle origini precedenti. Non ho ancora capito se per loro prevale la prima tipologia di rapporto origine-struttura o la seconda. Di sicuro c’è un’origine, o di più, da cui nascono le canzoni, rintracciabile nel momento della partenza e da cui nascono le parti delle canzoni, come da una una fontana. È la struttura che è più difficile da individuare, in ogni pezzo, è difficile trovare momenti che ritornano, una volta che si passa a un altro giro. Quando la ripetizione diventa insistente, la conseguenza è l’ipnosi e diventa difficile rendersi conto davvero dei movimenti di ogni strumento, servono molteplici ascolti. Oppure: uno se ne rende conto ma non è quello che ti da la botta, quella la fanno i minuti che si accumulano. Una cosa che mi piace dei Lightning Bolt è che non riesco a definirli veramente. Al di là dei generi a cui fanno riferimento. Birdy e Riffwraiths di Hypermagic Mountain sono il braccio armato della legge, quelli con i quali questa mia incapacità viene smascherata, grazie alla presenza all’interno della canzone dei soliti cambi repentini e della solita ripetitività ammorbante. Sono canzoni praticamente pop, completamente differenti dalla canzone successiva, Mega Ghost. Ne consegue, ancora straniamento.

La batteria non è quasi mai origine di questa roba qua, è spesso origine delle origini interne alla struttura, e spesso delle code in chiusura dei pezzi. Sembra stancarsi a un certo punto, sembra aver voglia di cambiare e dunque quella che dà la botta finale (mortale) a molti pezzi. Per passare a quelli dopo. Per questo è spesso il motore dello straniamento conclusivo. Rullante e cassa alla fine di Magic Mountain sono un finale eccezionale, qualche secondo che spezza con tutto quello che c’è stato prima. Ma la batteria continua a fare quello che ha fatto prima, è il resto che si assottiglia, quello che sembrava una sega elettrica o il rumore assordante di un frigorifero vecchio al caldo di un garage viene sottomesso da un suono sottile che fa venire fuori più batteria. Ingannevole gioco di squadra. Quando pensi di aver definito una cosa, noti il contrario: sono i Lightning Bolt. A una conclusione sono arrivato: la batteria di Chippendale da sola perderebbe in potenza perché priva della controparte. Ai concerti in generale, ogni tanto il batterista parte con l’assolo, è un po’ che non lo vedo succedere, ma penso che capiti ancora, come il tapping. Sono i trentasecondi in cui l’interessato/a sfoggia quello che ritiene più figo. Chippendale che suona la batteria nei Lightining Bolt potrebbe essere considerato un assolo lungo 7 dischi. Una cosa massacrante. Cambi d’umore, pochi ritmi piaccioni, personalità per niente calcolata, libera di fare anche un colpo non preciso ogni tanto, a una velocità che neanche i Melt Banana.

Questa cosa del colpo non-preciso si sentiva molto di più nel primo disco. Early Delights perde definitivamente questo spirito, dopo che Chippendale se n’è allontanato gradualmente negli anni. Early Delights ha il rullante più teso di tutti i dischi precedenti. Per rimanere affascinati della velocità delle mani di questo tipo basta ascoltare quello che fa sul raid e sul rullante di Nation of Boar. Mai sentito un ritmo come l’inizio di Colossus prima di Colossus, un quattro quarti con la cassa in quattro quarti. Shellac, seppure il modo di suonare di Todd Trainer sia molto più spezzato e deciso su un colpo solo (meno colpi, più efficacia, minimalismo), col quale fa partire mille riverberi nel mio cervello. Funny Farm è un altro incredibile pezzo, dove Chippendale si limita tantissimo, rispetto a i dischi precedenti non suona, non così a lungo per lo meno. Come Greg Saunier nell’ultimo dei Deerhoof. Ma la bellezza della batteria non è data dal numero dei suoi colpi ma da quello che costruisce e in SOS torna a mettere uno accanto all’altro ritmi diversi, anche se non così diversi come un tempo. Il piacere dei pezzi veramente lunghi (10, 14, 32 minuti) mancava da Lightning Bolt, anno 1999. A un certo punto la lunghezza non è stata più una componente del noise dei Brian’s. Transmissionary è un ritorno, un 12:20 molto più dritto, senza un finale sorprendente. C’è controllo, c’è più controllo. E giusto per assecondare la mania di controllo che è venuta ultimamente a Chippendale&Gibson, da Early Delights, faccio partire il collegamento ai due dischi successivi, cercando qualcosa in comune. C’è – in termini di distribuzione dei minuti e quindi di posizionamento delle canzoni dentro al disco – e dà continuità al ritorno dei pezzi lunghi: l’ultimo è sempre il più lungo, 13:25 e 11:21 (come la terzultima è sempre la più corta). Quella di Oblivion Hunter si chiama World Wobbly Wide, forse la canzone più fastidiosa mai scritta dai Lightning Bolt, per colpa di Gibso, in assolo continuo. Scritta? Non credo si possa dire, i Lightning Bolt vanno oltre al concetto di scrittura, distruggono la canzone, come poi era già successo di sentire con gli Old Time Relijun, ma non rendono indefinita solo la struttura, il suono è tra le cose più scostanti. Non c’è più niente, solo la ripetizione, la costante più presente nei loro album. C’era stato un momento psichedelia in Early Delights ma alla fine si è deciso di dare vita alla materia senza forma non con suoni caleidoscopici ma con due strumenti meno mobili rispetto agli inizi, ma che comunque riescono nell’intento. Se non fosse che gli Oneida sono in 6, direi che il loro modo di ripetersi (you’ve got to look into the light light light light) ha lo stesso scopo: essere psichedelici senza psichedelia.
Oblivion Hunter inizia con King Kandy che dà il suono a tutto il disco, cioè distorce la batteria e la impasta con il basso come ancora non c’avevano fatto sentire. Nonostante questo, Chippendale è chiaramente più buono. Comunque, più cattivo di Gibson che ha ammorbidito tantissimo i suoi giri (Fly Fucker Fly), conseguenza della collaborazione (2011, un anno prima) con i Flaming Lips, che su di lui si sente di più che sull’altro. Per la prima volta però la batteria mi sembra un po’ una trollata, nel senso che continua si a girare e ad andare senza fermarsi, ma alcune volte i ritmi mi sembrano più distratti, meno forti sul dettaglio di costruzione dei pezzi (Salamander).

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Con Fantasy Empire bisognava riprendersi un po’ quindi. Primo album pop dei Lightning Bolt, registrato interamente in studio (è la prima volta che succede), è quello che hanno fatto per non sentirsi sempre uguali, come finalmente ha ammesso Chippendale non mi ricordo a chi. Lui sta lì a disegnar le copertine, e anche la copertina di Fantasy Empire come la musica è meno aggressiva. Come dice lui: “For this one I wanted to go for more of an atmosphere and an air of mistery”. Sempre.

The Metal East è la prima scheggia messa lì così giusto per andar veloce. Over the river and through the woods ha quelle progressioni na na na nana che danno al pezzo moltissime velocità diverse, con il basso che si tiene sempre su un suono quasi bombastico e la batteria che raddoppia e ripete tutto, in un rapporto rullante-cassa velocissimo, alternato, tanti colpi di qua quanti di là. La ripresa c’è, yuppy. Tornano le batterie secche precedenti a Oblivion Hunter. Molte volte i ritmi sono più groovy, più pop (Mithmaster, Runaway Train). Recuperato quello che di ottimo avevano lasciato perdere con Oblivion Hunter, lo uniscono a un’idea meno tesa di canzone, che rimane sempre un flusso che ancora non ha niente a che fare con la struttura strofa-ritornello, ma nei giri che genera il risultato è più facile, in alcuni, non pochi, passaggi. Dream Genie non punta tanto sul cambiamento e la contrapposizione dei ritmi quanto sulla definizione di un ritmo, dei suoi accenti, anche quelli dell’accelerazione finale. La tensione delle braccia e delle gambe di Chippendale è cambiata, tutto suona più morbido, ma niente è ancora tranquillizzato o tranquillizzante. La tensione è rigidità, assenza di riposo, caratteristiche di tutto Chippendale. Oppure è tensione delle pelli. Il rullante più teso di sempre è adesso quello di King of my world, è definitivo, ha superato Early Delights.
Quella lunga di Fantasy Empire si chiama Snow White (& the 7 Dwarves Fans), prende un ritmo, prima lo fa usando con chiarezza tutte le parti della batteria, poi in versione noise punk, quasi-grind, dentro a una cosa con la cassa in 8/4 e a una roba in cui si riconosce solo un pezzo del giro da cui si era partiti. Alla fine non si riconosce più niente e il finale è di quelli che spiazza. Alcune cose vengono dal passato, altre no. Fantasy Empire potrebbe essere considerato un album di sintesi, che include il superamento e il cambiamento.

Non volevo finire l’articolo come faccio troppo spesso, cioè dandogli circolarità, chiudendo il cerchio con qualcosa che ho scritto all’inizio. Non volevo perché nella batteria di Chippendale non c’è una circolarità definita, ma uno studio continuo dei propri movimenti che porta anche alla rivalutazione del passato per raggiungere altre mete, anche insignificanti, piccole, ma comunque importanti per definire un suono sulla lunga distanza. Quindi c’è una piccola circolarità interna (i continui richiami a se stesso) ma non è la cosa che viene fuori per prima. La cosa che viene fuori per prima da Chippendale e dai Lightning Bolt tutti è la volontà di distruggere con la potenza fisica e di distruggere la facilità di ascoltare le canzoni, che è poi il noise. Alla fine sono approdati a un suono più tondo in Fantasy Empire ma la loro missione rimane chiara. Ma si, dai, diamo un po’ di circolarità all’articolo. In fondo, appunto, un po’ giustificata lo è: i LB non sono più la famiglia di Non aprite quella porta ma sono i Tremors. Rotondi ma dirompenti sempre. E l’irrecuperabile è Gibson, con tutti quei pedali e quelle accordature che il basso non sembra neanche un basso. Usa corde di banjo e basso a cinque corde, il cinghione.

 

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