A volte la musica è una lotta con me stesso. Mi arriva una mail con oggetto “Slanting Ray”, l’album d’esordio delle romane Winter Severity Index (Manic Depression/BloodRock) e la apro solo perché si parla di un album d’esordio e di romane. Il primo motivo può essere ok, il secondo è una specie di cosa di cui un po’ mi vergogno. Non sono fissato con le romane, sono molto debole quando si tratta di donne che suonano. Non si tratta di innamoramento, le vedo dico uh molto affascinante ma mi innamoro di altro. È più che altro appunto fascino, che è una parola che in questo caso significa curiosità verso ragazze che suonano. Che di per sé è una cosa sbagliatissima contro la quale ogni tanto prendo posizione, e cerco di andare in direzione contraria. La curiosità e l’album d’esordio mi hanno fatto aprire la mail e ascoltare Slanting Ray delle Winter Severity Index. La prima canzone si chiama At Least The Snow, odio da subito il titolo, ma la canzone mi piace un casino. È tutto ben fatto, la batteria, il basso e la chitarra insieme sono scritti molto bene. Ma di solito (oggi, nel senso nella mia vita di adesso) quel suono, nello spazio variegato e infinito che si trova tra i Cure e lo showgaze, mi ha già stancato. Mi trovo in una situazione non nuova, in cui parte una battaglia tra i miei soliti gusti musicali (diversi da Slanting Ray) e la voglia di andare avanti ad ascoltare questi suoni, quindi questo disco. Non è divertente perché mi rendo conto di quanto limitate siano le mie vedute musicali e di quanto sia difficile coniugare il proprio carattere musicale con la voglia di uscire dai propri schemi. La batteria più bella del mese l’ho sentita all’inizio di questa settimana al concerto dei Clever Square, ed era tutt’altra roba rispetto a quella che c’è in Ordinary Love. Però Ordinary Love ha un’immediatezza che mi piace subito e odio il sassofono ma quel sassofono ha un giro (si dice giro di sassofono?) che proprio sfilaccia ogni mia resistenza. Gli anni 80 abbastanza ammalati arrivano con A Sudden Cold e la mia battaglia sembra vinta dal me stesso a cui piace ascoltare quello che di solito ultimamente all’altro me stesso non piace troppissimo. Questa mattina mi sono risvegliato con i primi tre dischi dei Lemonheads, poi mi è venuta voglia di scrivere una recensione, ho aperto la mail, visto l’oggetto e iniziato ad ascoltare Slanting Ray. Così mi piaccio. Bianca ha un incipit strepitoso, con un basso e una batteria (sempre elettronica) che creano l’intreccio che ci vuole per rendere interessante un qualsiasi ascolto: dettagliato, veloce, che ti invoglia a seguirlo. Quando la spiaggia non mi piaceva per presa di posizione mio fratello mi disse Cosa vuoi diventare un cadavere? Vai un po’ al mare che fa bene alle ossa, altro che Bela Lugosi e a quel tempo mi piacevano molto i Bauhaus. Adesso in spiaggia ci vado di più, ma comunque poco perché è vero che mi annoio, non ascolto da tempo i Bauhaus ma Fishblood me li ricorda e continua a farmi piacere questo disco. Alla fine è dark music e new wave. Niente di nuovo, quindi, e qui segna un punto l’altra parte di me, quella solita. Qua e là ci sono anche le sonorità che mi ricordano i Depeche Mode – ai quali riconosco l’enorme grandezza del cazzo di Gahan, ma che non ho mai svangato troppo, principalmente proprio per la presenza di Gahan – a disturbarmi. Ma poi mi viene alla mente un pensiero positivo, vero: Slanting Ray è un disco che alla fine se ne fotte di Gahan e pure di Robert Smith e suona come deve suonare, e anche un po’ oltre, con melodie che aprono addirittura al West più lontano dei miei sogni, come nell’incipit di No Will. Faccio la mia cosa nella casa si potrebbe pensare riesumando l’ormai gelataio Frankie Hi-Energy che qui non c’entra niente grazie a Dio ma che con quella frase ha rinnovato con pizza e mandolino per tutta l’Italia di MTV anni 90 la possibilità di esprimere il proprio modo di vedere le cose e farle, senza preoccuparsi troppo in generale, e in particolare se vengono fuori le influenze su ciò che facciamo oppure no. Bellissima No Will, bruciante da quanto è il singolo che potrebbe spaccare tutto, e poi Compulsion, il miglior pezzo dell’album, il penultimo, per capire quanto questo disco tenga alta la tensione fino alla fine e cambi, in fondo, direzione, più di una volta. Ci sono (sempre, nel senso di in ogni canzone) giri di basso che danno un bel corpo a tutto il disco, come a Embracing the Void, titolo che odierei, se non fosse che la canzone cambia almeno tre volte registro sulla base degli arrangiamenti della chitarra e mi piace molto.
[Slanting Ray, Winter Severity Index (Manic Depression/BloodRock), streaming]