Arrivo che ha già iniziato, la tettoia dell’Hana Bi è piena fino al bar, inizia a piovere, ma solo un po’. Comunque poi c’è questo tipo sul palco vestito come un hipster che ha rubato il giubbetto di jeans a un motociclista e ci ha attaccato sopra delle toppe da skater, lento, che sposta e risposta le sedie e inizia le canzoni poi le molla lì. C’è anche sua moglie che suona la batteria, che ne ha poca idea di come si possa fare a stargli dietro e lo guarda preoccupata e sorridente. A ogni battuta di lui lei sorride e io a quel punto incomincio a sentire davvero tutto il fottuto amore che c’è su quel palco. Lei sembra davvero uscita dalla prima casa del cazzo di Memphis e immagino il supporto che dà a lui quando lui strippa, in casa. Lo aspetta con pazienza seduta sullo sgabello della batteria quando è solo lui a suonare, io la fisso (non è bella, non è per quello) mentre ascolto lui che suona, non è una situazione che percepisco come normale, ma tanto di lui vedo la schiena, la toppa della Bones con le due ossa e quella più in basso Skateboarding is not a crime. Fisso quella ragazza e penso che o lui l’ha sedata con qualcosa o lei è la donna migliore che possa stare con Micah P. Hinson, che intanto continua a far battute oltre che a suonare e sembra che le faccia per lei, per farla ridere, per conquistarla. Sarò anche l’ultimo dei romantici ma è questo che ho visto. Più della gente che cantava a occhi chiusi in prima fila, ho visto due persone che se la intendevano alla grande sul palco, uno tirava fuori tutto il fottuto talento che si ritrova e faceva finta di fare gli onori di casa in realtà non ci stava dentro per niente, l’altra faceva finta di essere lì per caso, in realtà forse musicalmente lo era, ma aveva tutto sotto controllo e il suo supporto morale è quanto di più provvidenziale dio ci potesse mandare sulla terra l’altra sera. Lui sembra che suoni per lei e per questo tutto va liscio – anche se non va liscio – e il concerto è stato uno dei più intimi che io abbia mai visto. Il microfono cade sempre, è comico si, però guardate lei (che poi si chiama Ashley e l’ha sposato nel 2008), e poi gli occhi abbassati di lui che dice “OH”, e guardate che massa di volersi bene c’è tra quei due. Hinson ha pure il bocchino nella sigaretta, è pure non poco teatrale, e purtroppo ricorda un po’ l’attore che fa Sherlock Holmes nel telefilm, ma questo non mi distoglie da come cazzo ha cantato. Alla fine con la voce fa quello che vuole, la tira fuori alla Johnny Cash o la spacca a metà. E la chitarra elettrica la fa suonare, si può dire, non si può dire altrimenti, schitarrando. Per tutto il tragitto verso Marina di Ravenna ho tentato di pensare a qualcosa che rappresentasse tutta la personalità di Micah P. Hinson in un colpo solo, o in un album solo, e non l’ho trovata questa cosa. L’ho trovata dopo, in tutti i momenti in cui si è fatto girare attorno al collo e alle spalle la stracca della chitarra acustica, con la sigaretta col bocchino in bocca, la sciarpina per proteggere la gola, il giubbetto stretto, tutto sotto una stracca cortissima, e sembrava uno sfigato grandissimo. Ma quella stracca la metteva con grande classe e alla fine sfigato non lo è perché quando poi si mette a suonare la chitarra, quella che uccide i fascisti, intorno scompare tutto, pure la mogliettina, oltre alla gente che sussurra, e rimane solo lui che mi sfonda lo stomaco. E non lo è (sfigato) perché quando si mette alla tastiera, suona come se si credesse un incrocio tra Cash e Mark Linkous. E lo è. Di canzoni dell’ultimo album ne ha fatte, e alla fine sul palco schiacciate per terra c’erano cento sigarette mezze fumate, e ha fatto anche il bis. L’ultimo album, possono dire tutti che è una merda, ma a me è entrato dentro formando un grumo grosso e pesante che ritorna ogni volta che attacco a suonare il disco sullo stereo. Tra una gag che non sembrava una gag ma lo era, o tra una non gag che era una gag oppure no, ho visto un concerto di musica suonata davvero e ho visto pure l’amore trattenuto da quei due sul palco e lasciato andare al pubblico solo per finta. E sono andato a casa che mi ero dimenticato di aver cannato i primi 10 (o 20) minuti di concerto. Take Off That Dress For Me colonna sonora nella mia testa durante tutto il viaggio di ritorno.
Micah P. Hinson l’ho visto girare per l’Hana Bi dopo il concerto, con la moglie dietro, cercava qualcosa, sicuramente il cappotto. L’ho guardato un po’, come tutti quelli che erano lì, e lui era proprio quello che era sul palco. Io sarei curioso di vedere dove abita, cosa fa, ma so che è un pazzo e alla fine quello sguardo perso che fissa anche solo per un attimo il vuoto e poi se ne va col resto del corpo a cercare una sedia per mettersi al piano mi spaventa. L’altra sera mi sembrava solo uno sguardo accostabile a quello precedente, quello abbassato, concentrato, o a quello successivo. Ma non sono più così sicuro che sia uno sguardo qualsiasi, o che trovarselo accanto sia così rassicurante. Non andrò mai a cercarla la famiglia Hinson, rimango qui, e mi accontento di ascoltare e ritrovare tutto l’andirivieni, la confusione mentale e il male di stare al mondo che erano sul palco dentro all’ultimo disco, oppure dentro a Micah P. Hinson and the Gospel of Progress, che forse rimane il più bastardo di tutti. Non so se la trovo nei dischi sta roba, perché alla fine alcuni dicono che Micah P. Hinson dal vivo fa schifo, e invece sono due giorni che ci penso, a quelle chitarre, a quella voce, a quelle orecchie, e a sua moglie. E questo pensiero non mi dà una sensazione di pace, ma mi butta dentro a una specie di breve storia ambivalente, la storia del concerto di due giorni fa, raccontata da una parte come se il mondo fosse una merda ma anche no, dall’altra sapendo cantare questa cosa poco illuminante ma vera a volte con il sorriso altre con molta sicurezza altre ancora con la più disarmante insicurezza.