Pippone su tre primi album.
Love Is A Conspirancy è l’unico disco degli Auden, registrato nel 2002 e ripubblicato da V4V Records in ottobre 2013. Si tratta in effetti di un album emo (5 pezzi), con buoni arrangiamenti di chitarra e belle melodie distorte (il finale di My Wrong Sentimental Education) e non (l’inizio di My Wrong Sentimental Education). Il titolo è troppo emo e l’abum non è così emo, almeno non alla maniera più piagnona dei (per dire) Mineral. Non riusco a entrare dentro del tutto ai testi. In alcuni casi, e adesso cavatemi gli occhi, mi vengono in mente i Julia, solo con zero screamo. E i Van Pelt, per uscire un po’ dal tracciato. Non credo di bestemmiare se dico che le melodie vocali tirano (alcune) a Lee Ranaldo che scrive per i Sonic Youth. Però resta emo, si, le sonorità sono quelle, si, con la pronuncia inglese di un iraniano vissuto a Roma per qualche anno di lavoro (There Was Always Too Much Light In The Room). Gli Auden non si sono mai sciolti ufficialmente ma sono in letargo.
Follow The Sherpa è il primo album dei BluNepal (Wasabi Produzioni e Green Fog Records). Togli agli Air il tocco vellutato e ai Mogwai la potenza e rimane molto meno di quello che avevi all’inizio. Ma tutto è molto più complesso di così. I BluNepal sono grandissimi scrittori (e forse anche improvvisatori) e hanno il merito di saturare l’elettronica ed evitare (YouZi) di abbandonarsi completamente all’easy listening. Il suono è però più freddo e artificioso, ma meno monumentale, del rock sperimentale a cui tra le altre cose si ispirano. Into The Cinema (The Storm) è pure un bel pezzo, ma è vecchio e non riesco a trovargli un aggettivo più adeguato. Putroppo, mi ricordano i Goblin, e quando succede è un tunnel da cui non riesco a uscire. C’è anche Tomorrow Never Knows, cover dei Beatles. Proprio come i Beatles la mettono alla fine del disco, ma è un’interpretazione troppo suonata e troppo lunga, che mantiene l’impostazione dell’originale perdendone tutta la delicatezza, un po’ come se fossero i Kula Shaker a suonarla. Il disco esce il 20 gennaio.
Autumn Years (Voice Of The Unheard) è un altro album emo/post-rock, debutto 7 pezzi dei Winter Dust. Parte benissimo con Fake Beaches, poi si perde con Undertow, che all’inizio riproduce le onde del mare per proseguire con distorsioni e pianoforte, e terminare con le onde del mare. C’è molta confusione, e la batteria non sempre regge il tempo. Tornano di nuovo i Mogwai e i Giardini di Mirò, ne ammiro sempre le sonorità e gli echi ma non mi basta. Il pianoforte, strumento che dovrebbe dare spessore all’album, è a episodi invadente e non così necessario. Credo che il problema stia proprio nella confusione che si crea nell’arrangiamento: spesso gli strumenti sembrano scollegati (Birthday) pur ricorrendo a distorsioni e singalong, che dovrebbero amalgamare. Il pianoforte, ancora, crea un altro elemento scollato dal resto e non aiuta. Tutto è molto urlato, anche le parti più melodiche. Per questi motivi si perde la poesia della dilatazione e dell’esplosione tipica dei generi cui si vorrebbe far riferimento.
Ciao.