Questo ragazzo ha i capelli lunghi. E con quei capelli lì ha fatto con i suoi amici un pò di dischi interessanti. Sempre (quasi) con gli stessi amici ha fatto un sacco di cose, cambiando spesso taglio, fino al 2013, annus horribilis. Questo ragazzo è uno sveglio, s’è visto subito dagli occhi. E non è che voglio stabilire una relazione direttamente proporzionale tra la lunghezza dei suoi capelli e la qualità delle cose che ha fatto, però quasi, a ragion veduta tra l’altro. Il sottotesto è evidente.
Per quanto la voglia di iconizzarsi con gesti coraggiosi, espliciti e avventati fosse una volta una caratteristica fondamentale della sua personalità, le sue azioni erano belle, e guidate da una buonissima dose di istinto, così come il suo modo di cantare, scrivere e acconciarsi.
Questo è lo stesso ragazzo di prima. Qui lo vedete nell’anno di Riot Act. Solo un quadriennio e ruzzoliamo dentro a Pearl Jam. Sono poche le possibilità che se ti prende la fotta Ramones tra i 35 e i 40 anni ne venga fuori qualcosa di buono. Se fai l’impiegato può essere una cosa utile, se fai il cantante da 20 anni la situazione può solo peggiorare perchè ti metti a desiderare di stirare dei pezzi punk rock quando non è più il caso. L’esito potrebbe essere per esempio Riot Act, e se la zampa ce la mette pure Matt Cameron che fa l’autore siamo freschi tupà-tupà-tupà.
Risparmio riflessioni sui tagli di capelli medio-lungo e molto-corto perchè le troverei eccessive.
2013. Adesso il ragazzo porta una pettinatura seria, con un lecco che era sempre riuscito a nascondere e una barba molto signorile, e fa uscire Lightning Bolt. È per ora l’ultimo esito del trico-percorso musicale, ed è il risultato della perdita completa dello slego, lo slego che manca nel nuovo disco. E lo slego sta anche nei capelli (prendete in considerazione per un attimo anche i capelli degli altri Pearl jam oggi e osservate l’onda perfetta di capelli sulla tempia destra del ragazzo). Una volta arrivava Stone Gossard, ci metteva un pò di poesia, oppure Jeff Ament a tirar su un pò di legna, e lo slego era fatto per tutti. Dentro a Lighting Bolt sono tutti troppo presenti in ogni pezzo, sembra che non ci sia una canzone che carica la stufa in scioltezza. Ogni cosa è meccanica, ogni strumento s’incastra nell’altro come se fosse solo. Che sia un problema di produzione è possibile. Naturalmente ci sono mille eccezioni (Swallowed Whole, Yellow Moon e via dicendo) in cui qualcosa gira meglio e così anche il pezzo.
Non so se Sirens è il punto più alto del disco, è comunque un buon punto. Ma è lo standard con cui i PJ riescono a raggiungere il livello raggiunto in passato con i pezzi più lenti, uno standard già presente in Backspacer (Unthought Known), e che in Lightning Bolt viene impostato almeno due volte. Uno standard. Non voglio dire una volta non avevano standard, ma un pò si. Il legame che c’è tra l’eccesso di composizione dei pezzi e lo standard è il risultato dell’unione delle due cose: il tentativo di suonare precisi per uscire perfetti. E distruggere il CòRE di un eventuale buon disco, eventualmente escludendo Let The Records Play.
Lightning Bolt è un pò troppo pensato, ma non è un brutto album, è mediamente brutto, se Riot Act e Pearl Jam sono brutti. Staremo ad aspettare i nuovi capelli di Eddie Vedder tra qualche anno, per vedere come sono.