Settimana, la canzone nuova dei Pearl Jam e il ruolo di Matt Cameron nella parabola del pezzo veloce

L’album nuovo Lightning Bolt (!) esce il 15 ottobre e la canzone si chiama Mind Your Manners. Gira dalla settimana scorsa ma l’ho scoperta all’inizio di questa settimana quindi eccola qui nella rubrica settimanale delle cose più belle che sono successe in sette giorni, di questa settimana. Farò un pò di casino cronologico, ma cercherò di prendere in considerazione quasi tutti i pezzi veloci dei Pearl Jam, escludendo i primi tre album, che sono un’altra storia, e Lost Dogs, la raccolta di bsides.

Sono un fan dei Pearl Jam, anche dopo World Wide Suicide (album: Pearl Jam). La maggior parte delle domande sul loro conto me le sono fatte dopo pezzi di quel tipo, rock’n’roll. Tranne Spin the Black Circle. Mind Your Manners è una canzone di quel tipo. Già Do the Evolution era un bel rospo, ma era troppo presto per allontanarsi dai Pearl Jam. Quando uscì ero a Bologna a fare il giovane studente di letteratura italiana, ero al primo anno e la maggior parte delle serate le passavo in casa, ma non sapevo pulire casa e quindi non era granché. Il video di  Do the Evolution era un cartone animato, già sullo stile brutto della copertina di Backspacer e mi piaceva. Ogni volta che lo passavano in TV non cambiavo canale. Ero uscito dagli anni grunge, molti gruppi della mia città erano morti e poi si erano rigenerati incrociandosi, e mi ero preso una cotta per gli Shift. La mia band era in fase tristezza, come ho già scritto causa figa. Mi ricordo che un mio compagno d’appartamento che suonava la chitarra attaccava sempre Chiara dei Rats. Lo faceva per ridere ma quella canzone ha finito per piacermi. Se guardo adesso ai miei gusti di allora posso dire che mi piace ancora tutto quello che mi piaceva, gli Shift e Do the Evolution. Ma Chiara non mi piace più.

Lukin suonava diversamente, durava un minuto e 15 secondi e poi c’era Jack Irons alla batteria. Non era quello l’episodio debole di No Code, che non aveva episodi deboli. La trasferta a Milano per vederli dal vivo sarebbe stata ed è stata, quell’anno, una cosa al di sopra delle migliori aspettative. Avevo paura di non trovare un mio amico, arrivato prima di me ad Assago, ma lo vidi subito, perchè era alto 1 e 97 ed era magro schiantato. Parlavo dei Pearl Jam con gente che adesso non so neanche dove sia.
L’inizio di Pearl Jam (l’album) ha segnato un giro di boa anche per la voce di Eddie Vedder che ha iniziato più o meno a farsi il verso e perso il fascino che aveva prima, almeno su di me, si capisce. È come se venisse replicato all’infinito l’urlo di Jeremy solo invecchiato così come è invecchiato Bob Dylan. Come se il gruppo fosse stato incantato dalla bolgia di Do the Evolution e per questo avesse deciso di cacciare Jack Irons, il batterista più bravo della Terra, per prendere quel cinghione di Matt Cameron, velocizzare tutti i pezzi, soprattutto dal vivo, e scrivere album che non riescono a suonare davvero. Il fatto è che ci credo a queste cose e potrei offendermi se qualcuno mi contraddicesse.

Matt Cameron ha distorto e cambiato la storia dei Pearl Jam. Binaural, il suo primo, è l’album del mistero. Ricordo la delusione nel mio volto al primo ascolto di Breakerfall. Non ero e non sono contro i pezzi veloci dei Pearl Jam. Matt Cameron, che apprezzo tantissimo come batterista per quello che ha fatto in Badmotorfinger e Ultramega OK (il titolo più bello della Terra) coi Soundgarden, ha svuotato i Pearl Jam del suono, li ha rinsecchiti. Tutto funzionava perfettamente con Cornell, Thayil e Shepherd o anche Hiro Yamamoto. Spostato dal di lì, tutto suona allo stesso modo ma nel posto sbagliato. Una volta ho visto anche una “Matt Cam” su un dvd dei Pearl Jam e ne sono uscito benissimo, impressionato ma con in più la consapevolezza che l’aspetto dimesso e moscio di Jack Irons e il suo modo di suonare da hippie dava ai Pearl Jam un tocco di classe in più. In Nothing As It Seems sarebbe stato a suo agio, Cameron sembra una specie di leone in gabbia.

Per Riot Act Matt Cameron scrive o co-scrive 4 canzoni su 13, dopo l’esperienza Evacuation di Binaural, uno dei ritornelli più brutti mai incisi dai Pearl Jam, manifesto di Cameron e del suo drumming fuori dagli anni ’90. In Cropduster sembra più rilassato, cosa che non si può dire per You Are (sua) che non è un pezzo veloce ma eccede in sussurri e suggerimenti di dubbio gusto. La fregola del ritmo veloce gli è passata, ma ha messo quattro firme sull’album peggiore dei Pearl Jam. A questo punto non ho più ricordi legati a loro e temo di non averli persi, ma di non averne mai avuti. Cazzo, è tutta colpa di Matt Cameron.

Paragonato a Riot Act, Backspacer è un disco della madonna. Cameron firma due canzoni (una dopo l’altra, la tre e la quattro, così ci togliamo il dente) che a sentirle ti chiedi ma sono davvero contenti di questo pezzo? Più che altro sembra quella soddisfazione di persone consapevoli del fatto che gli anni migliori sono andati, l’ispirazione più fulminante pure, persone che dicono ora facciamo un disco perchè comunque qualcuno come noi un disco lo deve pur fare ogni tanto. Quindi, forse, non tutte le colpe sono di Matt Cameron. Questa però è solo un’impressione parziale sul disco.
Johnny Guitar è uno dei due pezzi in cui Cameron ha messo lo zampino e a sentire il basso e la batteria insieme si potrebbe dire che è una specie di matrimonio perfetto. Rispetto al recente passato, qui si viaggia di brutto, e quasi con gusto, un gusto garage e rock’n’roll rivisitato da anni di ascolti, canzoni e sensibilità musicali diverse e modificatesi, senza più la velocità che serviva a scuotere tutti dal torpore dei primi reumatismi.
Dopodiché, Backspacer infila una tripletta memorabile: Just Breathe, Amongst the Waves e Unthought Known. Cazzo, Cameron è sempre sul punto di arrivare prima di tutti, sempre perfetto nel battere il tempo, al contrario di Jack Irons che era sempre un pò indietro, ma non è più sul punto di scoppiare. E questo è l’album dell’intesa definitiva tra la batteria di Cameron e tutti gli altri Pearl Jam, basta sentire l’assolo di chitarra nel bel mezzo di Amongst the Waves o l’apertura alla Given to Fly di Unthought Known. Ho anche un ricordo di vita vissuta legato a queste canzoni: io che stiro una camicia e mi prende benissimo perchè sotto stanno girando Amongst the Waves e Unthought Known. Suonano come se i Pearl Jam dicessero semplicemente divertiamoci. E Supersonic è veloce ma, così per dire qualcosa, ha un corpo rigido e un pò imbarazzante a volte, ma robusto.
Ecco, per questi motivi, Mind Your Manners non ci voleva.

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