Le pitture rupestri riempono la nostra vita di esseri umani sin dalla preistoria, già dall’Età della Pietra, quando avevamo appena imparato a utilizzare e lavorare il legno e la pietra; il metallo non ancora, solo dopo. Spesso esse rappresentano una valida espressione artistica, ma anche una sorta di saggistica sulla cultura e la vita della preistoria medesima. Cavalli, cervi e orsi sono i soggetti più rappresentati, ma anche mani di uomo.
Da giovanissimi studiamo le pitture rupestri nei sussidiari, da adolescenti poi veniamo proiettati, in alcuni casi, in un mondo che è quello dei graffiti sui treni e sui muri, o in situazioni che convivono piacevolmente con quel mondo, dei graffiti, espressione meravigliosa di una sottocultura enorme, anzi CULTURA! (Flash Art, agosto-settembre 2009, pagina 90), ed espressione di una parte di società. Ma possono i graffiti essere considerati un’evoluzione delle pitture rupestri, evoluzione che si differenzia dalle originali e più antiche per tecnica di esecuzione e soggetti rappresentati? Non so, forse si, in particolare se si parla di “murales” – il treno è un’evoluzione del muro, una superficie sempre percepita come bene di tutti, ma in movimento.
Allo stesso modo, quando sono nate le penne digitali per brainstorming creativi, ci siamo chiesti: può il risultato ottenuto con queste penne essere considerato un discendente evoluto e contemporaneo delle pitture rupestri? Forse: senza soluzione di continuità, dopo il graffito, che si differenzia dalla rupestre per le tecniche e per i soggetti rappresentati, il pennino digitale si differenzia anche per il supporto, che non può che essere, infine, digitale. Si disegna su carta, si ottiene un file digitale, tramite il collegamento a un computer. Per simulare una pittura su muro, quello che si disegna con il pennino lo si può proiettare sul muro, utilizzando un semplice telo bianco come sfondo, e così ci si ri-avvicina un pò al supporto delle pitture rupestri preistoriche. Così fanno i Uochi Toki dal vivo.
Il risultato del concerto dei Uochi Toki è un grande foglio, di cui lo spettatore vede solo il dettaglio disegnato sul momento, ma che contiene tutti gli schizzi eseguiti durante il live e che lo spettatore stesso può solo immaginare ricordando, aiutato di volta in volta dai dettagli degli altri schizzi che ritornano e si intravedono mentre il foglio gira e la musica va dritto. Nei Uochi Toki, Matteo Napo Palma disegna e contemporaneamente si occupa degli speach, sulle basi elettroniche di Riccardo Rico Gamondi. I pezzi vanno avanti come macchine, indisturbati, uno dopo l’altro, come componenti di un unico, grande sillogismo, o di una teoria scientifica, o di un’operazione matematica. Accanto, i disegni, scaturiti dalla macchina che genera la musica e le parole, escono come fogli con i buchi da una stampante da file. Potrei dire, giusto per dare uno straccio di continuità a quello che scrivo, come pitture digitali generate da un preistorico robot rinchiuso col suo pennino e col suo computer (la sua macchina pericolosa, isolata con lui) al buio di una grotta, prigioniero dell’uomo dell’Età della Pietra. E il robot preistorico raffigura immagini nuove, diverse da quelle dell’uomo a lui contemporaneo, quello della Pietra, immagini che l’uomo della Pietra non comprende, le ritiene sovversive. Per questo motivo rinchiude il robot.
Le tracce di Idioti vengono fuori così, meccanicamente, e con esse le parole. Quando scorrono le parole, non scorrono i disegni, perchè Matteo Napo Palma è uno, e lo spettatore si ritrova a seguire il concerto su due livelli che si svolgono alternati, più uno, tappeto di tutto: l’elettronica multidimensionale. E quindi, in questo caso, esistono tre tipi di “adesso”. Almeno in partenza. Perchè poi i testi ti portano altrove, in altri “adesso”, così come i disegni, piatti o bi e tridimensionali, così come l’elettronica, multilivello o multiritmica o multisuono. Che mi esaspera fino ad esplorare la realtà in molteplici adesso, da Cuore amore errore disintegrazione (La Tempesta Dischi, 2010), ce lo insegna, indirettamente, essendo mi pare stata esclusa dalla scaletta del concerto.
E scandagliando la realtà tramite tutti i tipi di “adesso” disponibili e creati dai Uochi Toki durante il live, la si visualizza, non la si comprende, ma la si analizza, più a fondo, se ne vede il negativo. E il margine diventa centro, come in Al Azif (Idioti, La Tempesta, 2012) che invece, mi pare, è stata inclusa nella scaletta del concerto. La musica, il suono e le parole hanno il ruolo di mezzo dell’indagine. E le pitture rupestri contemporanee assumono tutto un altro aspetto, un altro ancora, ancora più evoluto?