Ravenna Nightmare, Remington e gli zombie gay – o zombandings

[SPOILER!]. Remington and the Course of The Zombandings, di Jade Castro (Filippine, 2011). Eccoci qua. Remington è un gonzo come tutti i suoi amici: cazzeggia tutto il giorno, beve, ride e scherza. Finchè non arriva Hannah. Allora Remington cambia, si cura di più e diventa più sensibile, ma inizia anche a sculettare. Ecco il solito ragazzetto che abbandona gli amici e si trasforma per colpa di una ragazza… ma perchè sculetta? Il dubbio che il cambiamento non sia dovuto a Hannah s’insinua tra gli amici. Un giorno, da piccino, Remington se ne andava in giro a dare del gay a tutti. Al cimitero incontrò un signore ambiguo che si offese e lo maledì. Ecco, Remington non sta cambiando per Hannah, ma per quella maledizione. Peccato che in città ci sia un killer che si è messo in testa di ammazzare tutti i gay.
Citiamo da terresottovento.altervista.org: “Talvolta avrei voluto essere gay” dice Mark, un tassista, gettando uno sguardo veloce mentre naviga in uno degli ingorghi più straordinari di Manila (capitale delle Filippine, ndr). “I gay sono dei grandi lavoratori. Vanno bene con gli affari, a scuola. Hanno molto successo. Spesso sono quelli che portano il pane per l’intera famiglia. Li ammiro. Qual’è la parola giusta per dire che fanno molto bene? Eccellere? Certo, dico che eccellono”. E ancora: “Gay e lesbiche hanno trovato un nuovo livello di visibilità nella cultura filippina attraverso un mezzo inusuale: la commedia” (leggi su terresottovento tutto l’articolo di Doug Hendrie tratto da The DiplomatFilippine: La nazione più tollerante verso l’omosessualità?). Ecco trovato il contesto, quello serio, quello sociale. I gay nelle filippine sono molto ben accettati, sono molto ben inseriti nella società e, cosa interessante, utilizzano la commedia per esprimersi. Ottime cose, gli italiani dovrebbero imparare dai filippini a capire e a considerare per lo meno umano chi vive la sessualità in un modo diverso da quello del macho e dei Guido’s. Invece noi italiani i filippini li usiamo solo per fargli fare le pulizie in casa. Non è questo il problema però. Ci manca solo che adesso mi metto a pontificare su questioni di questo tipo.

Il gay motiv inserito nello zombie movie non è elemento innovativo: gli zombie gay (o zombandings) non sono una novità. Quindi, ignorante io che pensavo lo fossero. Ma neanche questo è il problema. E il problema non è nemmanco la Commedia, non la Commedia che i gay fiippini hanno fatto propria come forma di espressione, ma la Commedia come genere nel genere Horror o Thriller. Il problema non è lei. Ci sono precedenti strepitosi, The Cottage su tutti. Vedere una commedia al Ravenna Nightmare non è poi così sconvolgente, e non è la prima volta. Remington and the Course of The Zombandings è una commedia con una maledizione, un pò di soprannaturale, un serial killer, qualche zombie gay, un pò di schiuma dalla bocca e due bolle in faccia agli zombie che dovrebbero far pensare all’Horror. Poco poco ci mancava che tutto questo non fosse sufficiente come bridge sull’Horror e sul Thriller, ma alla fine dei conti ci sta: la maledizione domina la sceneggiatura, quando il killer uccide i gay il loro viso si brucia all’istante, gli vengono subito le bolle, ci sono effetti osceni, quindi ok.
Il problema è il film. A voler trovare un diavolo di guizzo diverso dallo sketch del ragazzo, goffo prima e gay poi, che fà figuracce o si imbarazza, è una gara molto dura. Ridi una volta, due volte, poi schiacci un sonnellino. Elementi sovversivi non ce ne sono, elementi particolarmente folli da far gridare al film bizzarro, perchè dominato da un’ispirazione superiore, ingestibile, e per questo mal gestito, neanche.
Mi piacciono i film di serie b, trash e le commedie stupide, però Remington and the Course of The Zombandings no, non sono ancora diventato così intelligente da aver fatto il giro di boa e aver iniziato ad apprezzare film come Remington and the Course of The Zombandings. Ancora. Forse tra qualche anno ci arriverò, ma oggi preferisco scegliere. E scelgo di dire no alla Commedia Horror Thriller che non ha linfa e non ha idee ma un‘idea sterile, quella di giocare sui gay, sempre allo stesso modo, facendosi forte di uno motivo sociale valido. E basta. Non si pretende la qualità, dio ce ne liberi, ma almeno qualche colpo di testa della sceneggiatura e del soggetto.
Non c’era nessun gay, però Porno Zombi mi era piaciuto tantissimo.
Se ci penso bene, i momenti migliori di Remington and the Course of The Zombandings, che si elevano al di sopra della media (bassa) di tutto il resto sono: la sparata sulla forza dai gay di Hannah a Remington (una cosa tipo tu non sei in grado di essere gay perchè non sei capace di combattere come fanno loro); e la mitica frase di Remington rivolto al padre che ha deciso di diventare gay al posto del figlio per interrompere la maledizione: “Davvero tu preferisci essere gay che avere un figlio gay?”. Questa è geniale. Forse sto facendo proprio ora il giro di boa…

Ravenna Nightmare, la notte di Halloween ci siamo sparati Inbred

Quelli che, sventurati forse ma di sicuro numerosissimi, si collegano a Neuronifanzine in questi giorni devono beccarsi solo pipponi sul Ravenna Nightmare 2012. Si. L’evento è dei più gagliardi, e noi lo aspettiamo ogni anno tremanti.
Ieri era la notte di Halloween, in giro c’erano molte feste, molti spettacoli, molte storie. Al Ravenna Nightmare, in concorso, c’era Inbred di Alex Chandon (UK, 2011). Una festa c’è anche in Inbred, una festa fatta di sangue e cacca. La storia è questa: una comitiva, non troppo allegra, ma di certo esplosiva, nel senso di potenzialmente pericolosa, si trasferisce dalla città alla campagna (nello Yorkshire, in Inghilterra). È una comitiva balorda, composta da due assistenti sociali, una ragazzina problematica, un ragazzino piromane e due teppisti. Scopo della gita: ritrovare il contatto con la natura, rilassarsi, divertirsi in modo sano e costruttivo, parlare. Il paese isolatissimo in cui soggiornano si chiama Mortlake, la casa in cui dormono è un casolare fatiscente, il pub del paese si chiama The Dirty Hole. Il Dirty Hole è il palcoscenico al centro del film. Lì i sei abitanti di città incontrano i loro carnefici, gente storpia e folle, talmente amante della natura in cui è nascosta da avere un attaccamento morboso a essa: i più tranquilli indossano maschere da maiale e assistono a spettacoli in cui gli animali vengono maltrattati dagli uomini o guidati dagli uomini a maltrattare gli uomini, i più selvaggi fanno giochi massacranti con tutti i tipi di verdura che hanno una forma fallica e organizzano gli spettacoli di cui sopra, al Dirty Hole. Così gli inglesi di città dipingono gli inglesi di campagna: mostri. Eden Lake partiva da questo principio, The Cottage toccava l’argomento. Il confronto però non regge: Inbred non è nemmeno lontanamente avvicinabile a Eden Lake o The Cottage. Dal secondo prende l’aspetto grottesco e divertente dell’orrore campagnolo, ma non lo gestisce come dovrebbe. Inbred ha una sfumatura di grottesco (la gente di campagna storpia e cattiva, ma anche simpatica, poverina), The Cottage ne aveva 50 (ehh?) e ha in più una vena di comicità grossa come un fiume e calcolatissima. Da Eden Lake, Inbred prende la storia, con la differenza che a finire nella bocca del leone non sono due fidanzatini ma un gruppo di persone più agitate dei due fidanzatini e che i risvolti del soggetto e della sceneggiatura sono pressoché inesistenti. Poteva essere interessante stabilire gerarchie e rapporti più definiti tra i carnefici. Eden Lake lo fa, Inbred ci prova ma è superficiale (per questo nasce il confronto con un film completamente diverso per motivazioni e scopi come Eden Lake, perchè Inbred ci prova, se non c’avesse provato avrebbe voluto dire che non gli interessava ed era una scelta più apprezzabile). Nell’analisi del rapporto abitante di campagna/abitante di città, il finale di Eden Lake raggiunge una profondità che si può definire definitiva; Inbred ci dice solo che quelli di campagna non amano gli stranieri un pò maldestri e li massacrano: al di là del divertimento (vecchio, ha almeno l’età di La casa o, rilanciando, di Bad Taste) dato dal vedere corpi che esplodono e una famiglia di mostri che organizza il massacro (vecchia anche questa idea, alla quale non viene aggiunto niente… tutte le famiglie di mostri da Non aprite quella porta in avanti sono come la famiglia di mostri di Non aprite quella porta… non è possibile) non c’è niente di interessante. Però mi piace la mamma della famigliola di Inbred. Fa due cose: prepara una limonata “nice and fresh” che sa di piscio e alza il dito medio contro il marito.
Inbred ha una pecca mortale: è lento. La lentezza in alcuni momenti lo spolpa, proprio come quelli di campagna spolpano quelli di città. Contrappasso.
Una sequenza si differenzia dalle altre per velocità di narrazione, montaggio spettacolo e significato: quella in cui il piromane (personaggio interessante) e la ragazzina liberano il tenero animale catturato e legato, prima di essere torturato, dai boys di Mortlake. Il montaggio non indugia come fa in tutto il resto del film, ma ci mostra velocemente quello che succede. I due stacchi sui ragazzini di città che corrono, ripresi in campo lungo, prima per ficcare il naso poi per scappare, sono i momenti migliori di tutto il film. E pensare che il viaggio in pulmino per arrivare a Mortlake prometteva bene, descriveva bene i personaggi e ci anticipava con occhi intelligenti quello che gli sarebbe successo.
Domandone. Chi è il più cattivo? I quattro giovani delinquenti urbani hanno rubato e incendiato, poi fumano, giochicchiamo di continuo col cellulare, dicono sempre fuck, sono maleducati oppure disadattati, non obbediscono al tutor maschio e stuzzicano i locals. Ma non arrivano a farli esplodere riempiendoli di merda e non fanno giochi cattivi con gli animali. I più cattivi sono i locals di campagna, ieri (The Wicker Man, buttiamoci dentro anche la Scozia), oggi, per sempre. Parola di inglese di città.

Shiver e Charm al Ravenna Nightmare Film Festival 2012

Danielle Harris in Shiver

Senza dubbio è arrivato il Generale Inverno. Non ricordo se durante il Ravenna Nightmare Film Festival era già così freddo gli anni scorsi perché l’aria dentro al Cinema City Multiplex era per sempre, il ricircolo la rendeva eterna e, una volta entrato, era come vivere nell’inconsapevolezza di ciò che c’era fuori, anche quando c’eri, fuori. Dentro al Cinema Corso, l’anno scorso, c’era qualcosa che non andava nella temperatura, ma non ricordo cosa. Quello che ricordo è che l’atmosfera era più adatta rispetto agli anni precedenti. Uscivi e avevi freddo, si, ma lo sopportavi più facilmente. Quindi non ricordo se l’anno scorso era freddo come ieri. Ieri però lo sentivo il freddo, quindi qualcosa è cambiato al Ravenna Nightmare. È tutto più umano.
Fin qui, considerazioni romantico-meteorologiche.
Mi sono buttato a capofitto nella programmazione dei film in concorso: domenica è stata la volta di Shiver, ieri mi si è piantato sullo schermo Charm. Due esperienze estremamente positive. In Shiver c’è un pazzo (detto il Grifone) che uccide le donne perché nessuna è alla sua altezza, fino a quando non trova Miss Wendy Alden. Tre i motivi per cui questo film è una figata: siamo a Portland, il serial killer ha l’espressione ebete meglio riuscita della storia dei film, l’attrice (Danielle Harris) che interpreta Wendy è una grande attrice, già vista in Halloween 4, Genitori in blue jeans, Scappo dalla città la vita l’amore le vacche, L’ultimo boy scout, Urban Legend, Halloween the Beginning e cose così. Tutto questo è sufficiente per apprezzare. Inoltre la storia raccontata non fa acqua da nessuna parte. Solo a volte eccede in rappresentazione, in problemi di narrazione e montaggio. In problemi.
Shiver ha un gusto retrò anni ’80, all’italiana, che ci piace sempre un poco rivedere sul grande schermo, ma anche a casa. E infatti, dopo Shiver, hanno proiettato, per la retrospettiva “bloody vintage”, Sette note in nero di Lucio Fulci.
La regia è di Julian Richards, il produttore-sceneggiatore è Robert D. Wainbach, che ha vinto alcuni premi in festival americani, che per Shiver si è ispirato a un romanzo di Brian Harper e che si è terraformato in sala, prima e dopo la proiezione. Un signore dall’aria e dai modi davvero professionali e che sapeva il fatto suo. Alcuni del pubblico avrebbero dovuto portargli più rispetto e non rivolgergli domande inutili.
Miss Wendy Alden simpatizza con il suo aggressore che la vuole sposare, poi la vuole violentare e poi vuole tagliarle la testa e metterla in un barattolone per i biscotti. Che sarebbe poi stato uno dei barattoloni pieni di teste di donna che Robert D. Wainbach si è portato in giro per un paio di giorni tra gli Stati Uniti e il Canada, durante le riprese, e con i quali è stato beccato dalla Polizia.
Delicato, il film, è delicato perché non si vede sangue inutile, ma solo ben piazzato, nei punti giusti. Molte scene sono state girate una volta e sono venute benissimo, da subito. La scena dell’inseguimento tra Wendy e il pazzo di Portland è invece costata tempo e denaro alla produzione e ha, davvero, qualcosa di brillante.

Ashley Cahill in Charm

Qualcosa di brillante, ma per niente delicato, ha anche Charm, il film del lunedi del RNFF, di Ashley Cahill (attore, regista, sceneggiatore). Pensate che in questo film c’è anche Kirsten Dunst.
Il protagonista di Charm è Malcolm, un dandy di New York che decide di uccidere la gente perché la gente che frequenta la città non gli piace più: fighetti intellettuali, cui piace solo il cinema francese e che parlano parlano parlano, proprio come lui, con la sola differenza che a lui piace il cinema americano. Malcolm vuole portare la violenza nei posti più Inn di New York, vuole uccidere dove nessuno ha mai ucciso e vuole fare notizia, per trasformare la città, per far capire a tutti che c’è qualcuno che ha messo in atto la rivoluzione. Scopo della rivoluzione: ripulire NY da un eccesso di fighetteria indie. Ma fare notizia è difficile in una città così grande e Malcolm riflette, parla, parla, parla e spiega il suo disagio dovuto al fatto che trova molte difficoltà a raggiungere l’obiettivo. Malcolm, in effetti, ha il carisma di Woody Allen in Manhattan, i due appartengono alla stessa tipologia di uomo, il logorroico.
Charm è un mockumentary: c’è una troupe che segue Malcolm e lo riprende mentre ammazza. L’idea di documentare le nefandezze farebbe pensare a una finzione, ma in realtà tutto succede davvero. O il contrario. Meglio il contrario: si documentano eventi falsi, creati ad arte, che guadagnano in verosimiglianza perché vengono ripresi come un documentario.
Tutto molto serio fin qui, ma solo in apparenza. L’idiozia mischiata alla violenza è la caratteristica migliore del film, perché lo rende il risultato, in effetti, di un colpo di genio. Non si tratta dell’idiozia di The Cottage, sopra le righe, assurda e pop, ma di un’idiozia dovuta all’inadeguatezza del protagonista, ai risvolti comici del suo disagio malato, al suo egocentrismo. È quello che ci fa ridere di Woody Allen.
Ah, Ashley Cahill a volte assomiglia a Christian Bale.
In effetti Malcolm rappresenta un po’ tutti noi in alcuni frangenti della nostra vita, non perché vuole sterminare i fighetti, ma perché vuole sterminare le persone che gli danno fastidio. Ecco, in chiusura, anche la considerazione di psicologia spicciola.