Perché ha perso Di Caprio e non McConaughey

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Visto che è una sfida che mi sono preso non so neanch’io perché molto a cuore, vorrei chiarire i motivi per cui secondo me Leonardo Di Caprio non ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista e invece Matthew McConaughey si.

In un articolo su Wired.it Gabriele Niola spiega perchè un film vince l’Oscar: di base il concetto è farsi vedere da più giurati possibile, quindi promuovere il film organizzando per loro feste e buffet. Pochi giurati vedono tutti i film, molti votano scegliendo tra quelli che hanno visto, molti ne vedono solo uno, quindi farsi vedere è appunto fondamentale. Il discorso di Niola vale, e lui lo scrive, soprattutto per una categoria come il Miglior Film Straniero perchè è più facile che i giurati vedano le grandi produzioni in gara piuttosto che il piccolo film kazako. Per la scelta del Miglior attore possono considerarsi valide le stesse considerazioni: vedi un film, decidi se è più bello di un altro, decidi se un attore è più bravo di un altro, più l’attore si fa vedere, maggiori sono le possibilità che vinca. Se un giurato ha visto solo un film, vota l’attore di quel film. Che metodo di merda. L’Oscar è un Premio molto poco attendibile. Già.

Al netto di tutti i discorsi sui diritti civili degli omosessuali, l’AIDS, che sono temi FONDAMENTALI, i dimagrimenti, gli a Scorsese non danno mai l’Oscar, a Di Caprio neanche e l’Academy non premia mai i migliori, il suo è un giudizio condizionato da cose extra-filmiche, rimane la prova dell’attore, che io posso giudicare esattamente come se fossi uno dei giurati seri, scegliendo, dopo aver scremato, tra le due prove migliori. Ecco i tre motivi per cui secondo me Woodroof-McConaughey ha vinto conto Di Caprio-Belfort.

1) Ne ho già parlato con wwayne in alcuni commenti. Di Caprio è di sicuro uno dei più grandi attori in circolazione, tutti lo amano, anch’io. Ma ha perso la caratteristica che aveva un po’ di tempo fa, per esempio in Romeo e Giulietta e The Beach, in cui sulla scena c’era il personaggio. Da quando è diventato grande, Leo dà sempre più spazio alle proprie caratteristiche e non riesce a concederne abbastanza al personaggio che interpreta; è molto espressivo, ma l’espressività e la fisicità sono sue, non del personaggio. McConaughey ha fatto il contrario, in Dallas Buyers Club è dietro al personaggio, non davanti.

2) Jordan Belfort percorre una strada meno tortuosa rispetto a Ron Woodroof, che è un personaggio più complesso. Woodroof parte da una serie di certezze che all’inizio non sembrano neanche scalfibili e alla fine cambia visione della realtà (un po’). In mezzo c’è la presa di coscienza della malattia, il tentativo di combatterla per vie tradizionali, la ricerca di una via alternativa, l’idea di aiutare anche le altre persone, l’amicizia con un travestito, il confronto con la vecchia vita e le vecchie idee, la lotta per difendersi dall Stato e anche altre cose tra le quali il dolore fisico. Jordan Belfort è sempre in ascesa, sempre padrone degli altri e di se stesso, si rende conti dei pericoli economici e affettivi che corre ma decide che quello che deve fare è quello che ha sempre fatto. L’arco psicologico lungo il quale si muove Woodroof è più ampio rispetto a quello di Belfort. Il personaggio è scritto nella sceneggiatura, la sceneggiatura può essere più o meno di ferro, l’attore può più o meno farsi guidare dal regista. Ma il risultato è l’interpretazione del personaggio, ed è l’interpretazione che va premiata oppure no. E arrivo al motivo n.3.

3) Il premio va al personaggio, e all’attore che interpreta il personaggio, non all’attore o al personaggio. Quindi non è che Di Caprio doveva vincere perché non ha mai vinto o McConaughey non doveva vincere perché è forse la sua prima interpretazione a questo livello. C’è l’attimo dell’ispirazione, che immagino per un attore possa arrivare quando una serie di cose coincidono, quando la storia lo convince molto, quando s’instaura un buon legame col regista e col cast e per tutta una serie di altre cose che posso solo ipotizzare. Tutto è andato per il verso giusto a McConaughey; Di Caprio, di fronte all’ennesimo personaggio enorme, cioè magniloquente (da J. Edgar in poi, sempre), ha adottato il suo standard e ha looppato la prestazione con lievi sfumature. Sarebbe utile cambiare tipologia di personaggio, per ritrovare l’ispirazione di Titanic, Buon compleanno Mr. Grape oppure, boh, Celebrity. Una cosa ingenua, ma interpretando sempre grandissimi personaggi forse Leo ha perso un po’ la misura, la sensibilità, l’obiettivo, e si è concentrato troppo sul se stesso che interpreta un grande personaggio e non sul personaggio che, se scritto bene, deve mettere in mostra il più possibile le proprie caratteristiche. Credo che la difficoltà del mestiere stia anche qui: nel dare un volto e un’espressione all’animo del personaggio; quanto più più l’animo è complesso, tanto più l’interpretazione è difficile; quanto più l’interpretazione è difficile, tanto più l’attore deve fare la prova della vita. Non ho visto niente di tutto questo in Di Caprio e Belfort, neanche rivedendo certe scene in lingua originale. E magari è un problema che nasce nel personaggio così come è stato scrittto, così come è stato in realtà.

Non so perché ma non mi aspettavo quel discorso da Matthew McConaughey alla cerimonia, una specie di improvement diocentrico della stima di se stesso. Quasi nessuno fa discorsi significativi all’Oscar, ma il suo è stato particolarmente frangipalle. Di Caprio, non sapendo cosa fare per salvare l’etichetta, annuiva ma non voleva farlo. Quel discorso mi ha fatto ricordare che comunque McConaughey è l’interprete di Sahara e di Magic Mike, lo è proprio dentro, un muscoloso attore americano. Tutti ci hanno venduto il sogno americano l’altra sera, ma lui è stato più profondo, l’ha arricchito di considerazioni sul fatto che Dio e se stesso sono stati le sue due fonti di ispirazione. Ce n’era una terza ma adesso non me la ricordo, forse la mamma. Bello perché un discorso così strideva con il fatto che era sul palcoscenico per Dallas Buyers Club, che avevo interpretato come il desiderio di alzare il livello della propria cinematografia. Però McConaughey ha interpretato un malato di AIDS, cosa per la quale il mondo si è preso benissimo, e cosa perfettamente in linea con il personaggio apparso sul palco l’altra sera, molto politicamente corretto; è anche l’attore di Mud e del prossimo film di Christopher Nolan, che non è noto per fare delle cagate. Non faccio confusione tra attore e personaggio, dal momento che quella sera quasi tutti sono personaggi, non proprio magari i personaggi che hanno interpretato, ma personaggi. Sono solo un po’ confuso riguardo alla personalità professionale di McConaughey; non me l’aspettavo ma devo considerarlo imprevedibile. Cosa che non posso fare con Di Caprio di cui ho UN’idea, che è poi quella che ha Scorsese.

il disegno è di Andrea Plazzi

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dallas buyers club

Woodroof è un drogato omofobo, puttaniere, truffatore e grande stronzo. Texano e politicamente scorretto, stereotipo ideale, è il mio personaggio cinematografico preferito del 2013. Matthew McConaughey era un attore sgradevole. Forse tornerà a esserlo, e a farlo per la figa, ma per adesso si è alzato dal divano di D&G e ha preteso qualcosa di più dalla carriera. Da 2 o 3 anni è vittima di una deriva intelligente che non gli ha procurato poi troppi meriti, almeno fino a Dallas Buyers Club. Seconda, almeno per me, rivelazione scoperta sotto al nulla dopo Ben Affleck, McConaughey ha già vinto qualsiasi cosa e anche stanotte agli Oscar vincerà su tutti gli altri e su Di Caprio (The Wolf of Wall Street) che è bravissimo ma da un po’ fa sempre Di Caprio in abiti diversi e l’Oscar non gliel’hanno ancora dato; l’ascesa e la decadenza di Jordan Belfort nel film di Scorsese, poi, non sono paragonabili al percorso cazzeggio/follia-disperazione/epifania/razionalizzazione di Woodroof.
Woodroof è un personaggio ragionevole e ragionato; non è che alla fine non è più omofobo perché è diventato amico di un travos (Jared Leto, bravo, ma anche un po’ macchietta), si rilassa solo un po’, ha altri cazzi per la testa e gli passa meglio. Tutto qua, abbracciare Rayon gli fa sempre comunque un po’ schifo. Non mi sarebbe piaciuto se fosse cambiato radicalmente dopo essersi trovato a condividere il destino con quello che odia, credo sia difficile abbattere le certezze texane. Non è per questa giusta misurazione del cambiamento o perché McConaughey è dimagrito (lo fanno in molti quando è necessario) che mi è piaciuto Dallas Buyers Club, ma per l’inquietudine di Woodroof e per l’amore inespresso e inesprimibile tra lui e la dottoressa Sacks (Jennifer Garner) che lascia un buco così nella storia e mette in chiaro quanto può essere misera la vita di un puttaniere sieropositivo.