
Hey What è come una casa, con due finestre, una sul giorno una sulla notte. Affacciandoti alla prima senti i suoni familiari, all’altra rumori poco decifrabili. Nelle stanze interne, suoni e rumori si mischiano sprigionando tutta la loro forza: talvolta, sono così perfetti da fare il giro e coincidere l’uno con l’altro; in altri momenti, si scontrano. La casa diventa un posto di conforto o turbamento, a seconda. Hey What è quella casa.
Dire chi la vince, se suoni o rumori, è difficile. Ma è in questa incertezza che sta l’equilibrio. Riconciliarsi con l’irrisolto non è facile. I due poli di questa strana instabilità sono ugualmente forti e ben definiti all’interno dei Low: da una parte le voci melodiche di Alan Sparhawk e Mimi Parker, così potenti perché puntano a diventare l’àncora delle canzoni; dall’altra i rumori di BJ Burton che ogni volta che interviene mette giù una briscola e getta la melodia nella confusione, ponendola di fronte alla casualità.
Non vince nessuno.
Il cuore del disco è questo dualismo irrisolvibile. Tutto calcolato, tutto perfettamente in grado di provocare angoscia o gioia. Un’altra cosa però: in ogni momento, Hey What è molto esplicito nel rivolgersi a chi l’ascolta. Per questo, è un disco emozionante.
Se la sua doppia natura dilemma rumoroso incomprensibile/luminosità cristallina e comprensibilissima si manterrà viva anche dopo molti ascolti, sarà ciò che mi farà impazzire. La casa, del resto, è sempre stato il luogo più adatto alla follia.
Nella foto Mimi Parker dal vivo un secolo fa (mi sa che l’ha scattata Diego)
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