L’8 agosto un mio amico, che a sua volta li aveva ricevuti da un altro amico, che non conosco personalmente ma che musicalmente parlando stimo moltissimo, mi ha passato i Cagework. E se non possono essere taggati nella rubrica Vomitare merda perché non mi pare inseguano quel mood lì (poi magari mi sbaglio); e se non sono americani, ma inglesi; sono però il gruppo ideale per incoraggiare chi pensa che le chitarre siano finite e si accontenta, fingendo di esserne soddisfatto e acclamandoli come gruppi grandissimi, di IDLES e Fontaines D.C., che (britannici anche loro) in realtà suonano senza nessuna fantasia, ricalcando senza troppi sforzi compositivi e sonori i gruppi del passato, recente o meno che sia. The Fall, Joy Division, Fugazi, Interpol.
Anche i Cagework fanno parte del revival power pop emo post hard core grunge che ha preso piede in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Hanno, ok, riferimenti musicali precisi (diversi da IDLES e Fontaines D.C: Pile, Weezer) ma nell’insieme suonano decisamente meno stagionati. Più originali. Si differenziano dai fratelli britannici anche per la varietà nella scrittura da una canzone all’altra.
Hanno fatto due dischi: l’omonimo, nel 2019, più power rock; Exercise in Conflict (2020), più influenzato dal math rock. Aiuto! Bisognerebbe dire. Ma è solo influenzato, perché ogni volta che sono lì lì per esagerare con i virtuosismi della chitarra, la tirano su con una distorsione che migliora la situazione.
Alla fine preferisco il disco dell’anno scorso a quello di quest’anno, ma li sto ascoltando tutti e due.