Lo strano caso del Dottor Theo Hilton e mister Zumm Zumm: Theo Zumm

Nel 2004 Theo Hilton suonava già nei Defiance, Ohio. Erano di Columbus, Ohio, ma si chiamavano Defiance, Ohio. Oltre ai Pretty Hot, in quel periodo Theo Hilton aveva anche un altro progetto, solista: Zumm Zumm, che fino al 2019 pareva aver avuto solo un anno di vita, il 2003, e invece no. Con l’uscita di Theo Zumm abbiamo scoperto che è ancora vivo.

Trovo strano il rapporto tra l’evoluzione musicale di Theo Hilton e i nomi che ha attribuito a sé e ai suoi dischi. Mi rendo conto che sia un argomento di un’importanza ridicola, ma io lo trovo strano. I Zumm Zumm erano sembrati un gruppo estemporaneo dicevo, composto da Theo Hilton, la sua ombra e poco altro, che avevano fatto uscire solo Crusp Srexstling, un disco folk punk, e stop. Da quel momento, Theo Hilton non ha mai abbandonato del tutto quel genere ma l’ha sempre più mimetizzato con altro, sempre di più, sempre di più, fino a sostituirlo del tutto, nei miracolosi Nana Grizol. Quindi, c’erano speranze che non prestasse più attenzione al folk punk.

I Pretty Hot sono più o meno contemporanei a Zumm Zumm ma sono più pop punk, anche perché c’è l’influenza di tutti gli altri componenti, ma contano poco nella sua carriera, perché Theo li abbandona nel 2005 (dei Pretty Hot si trova un sacco di materiale in questo sito non sicuro ma molto ben fatto: non me n’è mai fregato niente del vintage di cui si parla di solito, vestiti, mobili eccetera, ma ho un debole per i siti vintage). E li abbandona perché in quel momento suona parecchio con i Defiance, Ohio, nei quali l’amore per il fòlk punk è ancora evidente ma alcune volte si intravvedono vie d’uscita illuminanti, anche se magari sono solo episodi, tipo Calling Old Friends. Calling Old Friends non è ripulita del tutto dal punkaccio folk, ma sembra parlare attraverso altro, è come se ci fosse ancora il germe dentro ma la melodia riuscisse a vivere anche di se stessa, complice un testo valido per tutto l’universo e per sempre (senza esagerare).

A quel punto, nel 2006, nascono i Nana Grizol, in cui Theo Hilton riesce a esprimere al meglio la sua brillantissima capacità di scrivere canzoni e testi, e abbandona del tutto il punk e il folk. Lo ritrovi forse in Blackbox e Gave on (dentro a Ruth) ma è tutto un altro taglio. I Nana Grizol prendono su un bel po’ della Elephant 6, con cui hanno contatti direttissimi, visto che si formano ad Athens, e spingono un sacco con la tromba. Quindi in qualche modo non è più il folk da pub l’elemento disturbante ma le scivolate da fricchettone alla Elephant 6 appunto. Parallelamente, però, col tempo Theo Hilton rallenta, rallenta, rallenta un sacco, cioè scrive canzoni più lente, oppure trova ritmi medi nuovi, che sanno di vecchio ma sono anche originali, e queste novità lo portano con i Nana Grizol a fare cose memorabili, come Cinicysm, Tambourine N Thyme, Mississipi Swells (la mia preferita, dentro a Orsa Minor), per le quali mi permetto di perdonargli tutte le svisate da freak. Anche perché continuo ancora oggi a giustificare le (infinite) svisate da freak dei Cyrculatory System o degli Apples in Stereo, per dire, quindi non posso sgridare i Nana Grizol per le loro scappate freak, episodiche. E anche perché le batterie dei Nana Grizol, in particolare quelle di Orsa Minor, sono divertenti come poche altre.

Però. Nel 2010, in piena corsa Nana Grizol, Theo Hilton non è del tutto soddisfatto di quello che sta facendo e fa uscire un disco di 21 canzoni a nome “Nana Nemo”. E qui inizia a ripetere i nomi. Non ho mai ascoltato i Nana Nemo, non li trovo da nessuna parte, e non so se sono folk punk. All’inizio degli anni ’10, Hilton suona anche con i The Music Tapes, poi fa uscire una cosa con Toby Foster, e una volta si chiama Theo e l’altra Theodor, che cambia veramente poco ma continua a divertirmi molto questa sua fissa di cambiare i nomi ma anche, allo stesso tempo, ripeterli. Dicevo, non so se Nana Nemo è folk punk, ma di sicuro lo è, nove anni dopo, almeno per tre quarti, il nuovo disco dei Nana Grizol, che non è altro che un disco di canzoni scritte come Zumm Zumm, tra il 2003 e il 2005. S’intitola Theo Zumm e quindi mi sputa proprio in faccia che l’animo folk punk di Zumm Zumm esiste ancora. E si sente. È come un fantasma. Anche se negli anni ha subìto delle trasformazioni, il germe del folk punk è ancora lì. Pensavo ce ne fossimo liberati, e invece.

Devo dire che questo disco, Theo Zumm, quando è uscito, mi ha fatto un po’ girare le palle. Ma cosa ti salta in testa di pubblicare delle canzoni di quel tipo a due anni di distanza da Orsa Minor, dove non avrai (mi rivolgo direttamente a Theo, che notoriamente legge questo blog) abbandonato del tutto quel gusto zigano che ti piace tanto, ma ti sei lasciato per sempre alle spalle tutto il folkpunkismo. Zumm Zumm invece c’era dentro fino al collo, al folkpunkismo. C’è qualcosa di bello in Theo Zumm che cerca un distacco dal punk e diventa semplicemente folk o qualcosa di simile. Grow Up The Fence, Tin Foil Boats con quel coro femminile un po’ rock’n’roll un po’ gospel, giusto un cicchetto di Velvet Underground in I Think War Is Pretty Evil. Ma non basta, perché la capacità di scrittura di Theo Hilton è bloccata, non ci sono illuminazioni giovanili. Alcune sono proprio registrazioni al volo, iniziano e finiscono all’improvviso dal nulla, come si fa quando hai un’idea e la butti giù nel registratore, senza preoccuparti di costruirci attorno qualcosa di più perché non la vuoi perdere. Sarebbe una cosa ancora adesso interessante, se ci fossero più spunti che ci facessero capire a che punto stava la personalità artistica e inquieta di Theo Hilton, scontento dei Defiance, Ohio e in fuga dai Pretty Hot.

Capisco il desiderio di mostrare il rapporto di continuità nella discontinuità tra cosa stava succedendo in quel momento (2003) e quello che sarebbe successo dopo, dal 2006 in avanti coi Nana Grizol. Capisco anche il desidero di sottolineare che quando eri Zumm Zumm le tue influenze erano tante (Motorpsycho, NOFX, Sebadoh eccetera) e che avevi già quel qualcosa dentro che poi ci avrebbe regalato la delicatezza dei Nina Grizol (Drawing Lines e Circle Round the Moon, Tiny Rainbows). Capisco tutto questo. Ma il materiale di Theo Zumm non è abbastanza esplicito nel collegare passato e futuro, è debole, sono troppe le canzoni che appartengono al passato senza nessuna sfumatura in più che faccia presagire qualcos’altro. Alcune volte, e anche in questo caso, pubblicare canzoni scritte anni prima non ha troppo senso, perché non fanno altro che cristallizzare il passato. Sarà anche giusta la voglia di pubblicare queste canzoni, ma è sicuramente sbagliata la decisione di farlo a nome Nana Grizol.

C’è una parte folle dentro a Theo Hilton che vuole far venir fuori ancora il suo spirito folk punk: è Zumm Zumm, che è ancora dentro di lui e ce l’ha fatta, è venuto fuori e ha creato Theo Zumm, ha vinto, nel 2019. Sarà contento. Ma il suo touch down va a discapito del percorso in crescita che Theo Hilton ha costruito con i Nana Grizol, in particolare con Ruth e Orsa Minor. Theo, aridacce i Nana Grizol, quelli veri. Io, per conto mio, ho già declassato Theo Zumm e non lo chiamo più “album” ma “compilation”, come suggerisce il malefico ma sempre sul pezzo Discogs.

E se qualcuno dovesse mai leggere questo articolo, e leggerlo fino a qui, e dovesse chiedersi “ma cos’ha questo contro il folk punk da pub?”, gli risponderei che una volta mi sono ritrovato da solo in un pub a York e mentre bevevo una birra è successo l’inferno. C’era un live di un gruppo che si chiamava The Yorkers o qualcosa del genere e non c’era una canzone che i clienti non sapessero a memoria. Le cantavano tutte, e ballavano anche, naturalmente, sui tavoli, sotto, in bagno. Io ero lì, in mezzo, in un tavolino da due, con gli occhioni sbarrati a guardarmi intorno. Sono certo che uno dei baristi al bancone mi abbia fissato per almeno due minuti filati pensando “e chi cazzo è questo? Meniamolo”. In effetti ero un po’ a disagio, mi sono scolato la birra alla velocità di due canzoni e mezzo e sono uscito. è che quel modo di cantare così arrabbiato posticcio, quel basso e quella chitarra power chord, quella batteria speedy tempo, tutto in modalità combat, sono un cliché troppo abusato, e non riesco a vederci più nessuna traccia di sincerità. Poi, quando parte il pezzo ska, è la fine.

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