Qualche settimana fa sono andato a un concerto noise e la prima cosa che ho notato è stato un gran profumo di shampoo. Com’è possibile a un concerto generalmente di uomini che generalmente puzzano? mi sono chiesto. Eppure, era in ogni angolo. Solo per un attimo ho sentito puzza di ascella, ma proveniva da un punto preciso. Ho individuato l’essere responsabile e ho girato al largo. Era uno che aveva suonato. Giustificato. La serata prevedeva i Fashion Week, i Lleroy, i Cani Sciorri e i Cherubs. I Fashion Week me li sono persi. Brent Prager, il batterista dei Cherubs, ha partecipato a ogni singolo cambio di palco. Ci credo, la batteria era la sua, ma non è una cosa così frequente. Quando per la fatica si è tolto la camicia bianca over size, che indossava sopra a un elegantissimo paio di jeans rosso pomodoro a tubo, ha sfoggiato la maglietta degli Elm, avanzo della sera prima a Torino (concerto insieme). Gli Elm sono piemontesi che suonano come se di piemontese non avessero niente e infatti non gli daresti del piemontese neanche dopo avergli fatto pronunciare la parola Barbera. Avete mai sentito un piemontese dire Barbera? È sexy, seppur gelido. Degli Elm parlo un po’ più sotto. Tra un cambio di palco e l’altro e prima di togliersi la camicia, Brent Prager è stato spesso sotto al palco a vedere i concerti degli altri. Più attenzione di tutti l’ha prestata ai Cani Sciorrì, ma solo perché sono andati in tour insieme in Europa. I Lleroy li ha cagati poco. Peccato,perché il loro set era meglio. Le loro canzoni sono più mud e meno metal, hanno una pasta meno definita e i testi sanno diventare certe volte incomprensibili, non danno mai un messaggio da dritti della vita consapevoli di tutto, cosa che i Cani Sciorrì tendono a fare rimanendo anchr un po’ incastrati in giri di basso e chitarra più prevedibili. Se si aprisse un contest di lyrics, sarebbe difficile non dare l’oro ai Cani Sciorrì per “voglio aprire un’edicola sotto a una chiesa” (Edicola), ma non m’interessa tanto quel tipo di attività e rimango dell’idea che i Lleroy siano meno immediati, in senso positivo, perché più creativi, e che i Cani Sciorrì risentano un po’ del classicismo metal. Canzoni rigide e importanti sono quello che vogliono fare, ma alcune volte suonano gonfissime, anche ammetto di intravvedere pure un po’ di ironia. Non è una guerra, il confronto non è necessario, li ho solo visti dal vivo uno dopo l’altro e mi è venuto. Come dicevo, sono arrivato troppo tardi per vedere i Fashion Week ma sono un buon gruppo emo noise metal. Non sono stato in grado neanche di individuare la fonte dello shampoo ma è stato un ossimoro.
I clienti che hanno acquistato i Lleroy hanno acquistato anche i Lucertulas e la Fuzz Orchestra.
I Cani Sciorrì sono spesso comprati insieme a Bachi da Pietra.
I Cherubs sono in tre e dal vivo vengono fuori con chiarezza le caratteristiche umane di ognuno di loro. Brent Prager è quello con la fregola, che si mette in prima fila ad ascoltare i gruppi spalla, che crede nel darsi una mano a vicenda senza troppe pippe istituzionali da personaggio storico del noise e così via, con l’amore che gli esce dagli occhi nei confronti di chi lo aiuta a fare fatica nel fare quello che fa lui, in particolare nei confronti dei batteristi. Kevin Whitley, vocina e chitarra, è un altro che partecipa, ma per i fatti suoi e fondamentalmente facendo la sua cosa in silenzio. Zero parole, zero commenti. Fare e basta. Owen McMahon è il nonno, oltre che il sosia di Timothy Spall, quello che suona per farti contento, che a casa ha una famiglia da cui non vede l’ora di tornare, perché il mondo è cambiato e non ha nessuna intenzione di tornare indietro a quando era giovane e suonava con piacere. Fino a quando non canta (Animator) e tira fuori la voce, un vocione che spazza via la vocina stridula di Kevin Whitley. Che comunque rimane lo sgorbio del palco, quello che ha in mano il timone nonostante gli altri due tengano il loro posto, ha il carisma innato.
Nel giro di due anni i Cherubs sono tornati con un disco, un ep e il tour europeo, all’improvviso, da quella volta in cui si erano sciolti nel 94 e io andavo ancora a Mirabilandia a giocare sulle montagne russe. Il disco del 2015 (2 Ynfynyty) non ha niente di diverso dai precedenti se non la necessità di sbatterci (a noi) le distorsioni ancora più sui denti, di continuo. Necessità dovuta al fatto che dopo anni per dimostrare che aveva senso riunirsi bisogna faticare e fare male. E allora loro scelgono questo suono più immediato che, oltre a trovare un senso nel fatto che il disco non è stato registrato negli anni ’90, funziona perché è il risveglio e se non fosse stato così avrebbero perso tutto. L’ep del 2016, Fist in the Air, è solo un po’ più acuto di tutto il resto, ma in misura accettabile. Se i Cherubs avessero fatto qualcosa di diverso rispetto al passato, mi sarei incazzato.
I Cherubs non usano il contrabbasso.
Lo usano i Sodastream, di cui da non molto è uscito il disco nuovo. Una volta ho parlato con Pete Cohen, il contrabbasso. Oggi è il post dei nomi veri dei componenti delle band. Mi ha attaccato una pezza non breve sui suoi parenti siciliani, mi ha firmato il disco scrivendomi qualcosa in italiano, così, per farsi accettare, e poi gli ho chiesto se conosceva i Mummies, per i quali in quel momento avevo una fissa, per poi sgonfiarmi qualche mese dopo. Li conosceva, e gli piacevano anche. Secondo me l’ha detto per farsi accettare ancora un po’ di più. Sapete, quello è australiano e suonava in un posto sul viale della stazione di Faenza.. Era il tour del secondo disco, The Hill for Company. Abbandonai i Sodastream all’altezza di A Minor Revival, il terzo. L’altro ieri mi è capitato di scaricare Little by Little e l’ho ascoltato. Ci sono canzoni che replicano esattamente quello che mi piaceva di più, i crescendo di armonie e gli scatti improvvisi dalla tranquillità quasi mortale alla reazione causata dal suo opposto, cioè dal nulla, dal vuoto emotivo espresso appena tre note prima (Moving, Colouring Iris, Three Sins, Tyre Iron). Questa reazione è meravigliosa, nel senso che è provocata dalla meraviglia. Per il resto non è che i Sodastream siano niente di speciale. Quella voce debole e nasale di Karl Smith… Di quegli archi che vanno e vengono ne abbiamo sentiti a tonnellate dai Mojave 3 e oltre. Di quelle chitarre dolci, altrettante dai Belle and Sebastian, di folk delicato e passive aggressive anche. Ma c’è qualcosa di loro che mi entra dentro, proprio quando fanno le cose più tipiche, non quando distorcono, e dopo più di dieci anni mi fa lo stesso effetto, senza essere il mio gruppo della vita, senza essere il gruppo che ogni nota che ha fatto ti dice un sacco di cose, ma riuscendo a essere qualcosa. Non è male la sensazione che danno i Sodastream, non è totalizzante ma parziale. Ha solo in parte significato, nella misura in cui riesce a replicare quello che mi aspetto da loro, non quando esce dal tracciato con melodie più scanzonate o con del folk allegro di cui non ho bisogno. Lì, sbagliano. State come siete.
E ok ok, lo scorso novembre Papa M ha fatto un album di merda, che non raggiunge i livelli degli Slint si dice in giro. Woo! Che scoperta. Quando mai Papa M o Aerial M, i King Kong o i For Carnation hanno raggiunto i livelli degli Slint, un disco a caso tra Squeez o Spiderland? Mai. Hanno fatto cose molto buone ma mai così buone. In più, ultimamente, David Pajo è fuori. Come si potrebbe pensare che ci stia dentro visto che ha tentato il suicidio poco più di un anno fa e che nelle foto di Instagram è sempre preso malissimo? Credo che saremo costretti a dire addio alla brillantezza di Whatever, mortal o Scream with me. L’ultimo Pajo ha inciso in pratica dei pezzi da tutorial metal su youtube o dei tutorial da chitarristi Riccardoni contenti di esserlo. Quando mi fermavo ad ascoltare i vecchietti sulla panchina davanti al Duomo a Cesena, ogni volta ce n’era uno che faceva un gran discorso tirato tutto d’un fiato e poi faceva un sospirone e diceva PAAAROO’, che in dialetto significa “però”. L’avversativo. Non so: Jozic ha smesso di giocare perché lo spogliatoio l’ha massacrato, Lippi gli ha rovinato la famiglia e lui non è stato abbastanza forte da resistere, ma un uomo non può comportarsi così, deve andare avanti e dimostrare superiorità, è così che si fa (sospiro) paaarooo’… Jozic resta un gran giocatore. David Pajo ha avuto molti problemi ultimamente e non va, non va, ha fatto un disco che non si avvicina neanche lontanamente a niente di quello che fece, però a me piace molto ascoltarlo. Non è l’attrazione per le cose brutte, è proprio che sentirlo mi dà la carica, mi piace tutto quello che c’è dentro. Ultimamente adoro anche i tutorial di chitarra classica.
Gli ELM escono per Bronson Recordings e fanno noise. Sono di Cuneo però legano la loro immagine al Texas e a gruppi americani di un certo tipo, alla Trance Syndicate o a Minneapolis e all’Amphetamine Reptile. L’ep in cassetta che hanno fatto recupera un mondo noise che esisteva quando ancora le cassette si usavano senza che fossero strane perché non erano ancora superate. Per quanto adesso sia weirdo ascoltare musica da una cassetta, e in alcuni casi difficile se non hai il mangianastri, è possibile dare un senso serio all’operazione degli ELM, proprio per la sua ricerca di coerenza, per il ricordo che innesca di una modalità di ascolto della musica, quando era uno sbattimento saltare le canzoni, perché dovevi mandare avanti con FF>>. Adesso è facilissimo, ed è bello che lo sia. Di fronte alla possibilità di usare i formati di adesso non c’è da alzare nessuna barriera. Sono tutti utilissimi, io li uso tutti, scarico, faccio streaming eccetera. Ma capisco l’operazione degli ELM – che comunque sono su bandcamp – che del resto fanno della musica da animali che era prorompente vent’anni fa ma non si preoccupava di esserlo e per questo riusciva a fare la sua cosa, non si preoccupa di esserlo neanche oggi e per questo lo è ancora. Uscire in cassetta è come darsi una zappata sui piedi, ma quello è il mondo a cui vogliono appartenere. In copertina hanno la cartina del Texas e per completare questa immagine da fissati è giusto uscire su nastro. Non sono contrari allo streaming, definiscono solo se stessi al meglio, con la musica, la copertina e il supporto. I riferimenti degli ELM non si fermano al noise ma proseguono verso il grunge, per dire. Non troppo in là: uno spettro d’azione limitato, ma definito e preciso, quadrato nella scelta di quel suono e di quei giri delle canzoni. È una cosa che adoro. Dal vivo sono molto potenti.
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