3 dischi belli e 2 brutti, il 2016 riassunto più o meno

Come dice Napo, le Tartarughe Ninja ci hanno insegnato che da soli non si fa niente. Quindi, mentre di solito (non semprissimo) STO BLOGGHEEE’ MMIOOO, la classifica la faccio con gli altri. Ci daremmo tutti alla macchia se dovessimo ascoltare tutta la musica di un anno e, per evitare la redattorification dei boschi, anche le riviste e i siti seri pubblicano classifiche collettive. Unendo le forze, i punti di vista cambiano, si coprono e si scoprono più dischi.
I Turtles sono quattro e quest’anno di classificari ne abbiamo rimediati… quattro. Diego, che dice di aver ascoltato poca roba. Paso, che ascolta un sacco e scrive ancora di più ma quando fa la classifica è il blogger più grind della costa. Giuseppe, che nel 2016 non ha ascoltato niente del 2016. Io. Non volevamo di proposito riassumere l’anno più o meno. Al contrario, abbiamo cercato di farlo al nostro meglio. Però, quando ti metti a fare classifiche, entrano in gioco patologie/gusti che ti guidano nelle scelte dei dischi e nel modo in cui le motivi, tiri le conclusioni forzate di undici-dodici mesi – durante i quali non sempre sei riuscito ad ascoltare bene tutto quello che avresti voluto – o semplicemente apri una parentesi dentro a un quotidiano che di solito non comprende lo scrivere. Il risultato non poteva che essere, quindi, più o meno. In queste classifiche c’è tutto questo. C’è l’uomo di fronte alla musica. Neuroni è oltre la classifica, è le persone.

Sì e NO, cosa cambia dopo il 4 dicembre
di Diego AKA @thepulpit

diego_ok


Leute “9 song”
Esordio bomba dei giovani milanesi per noi orfani dei Crash of Rhinos e non solo. Ho fatto un nome ma ne potrei fare tanti altri in maniera altrettanto inutile, perché alla fine qua è tutto diverso e tutto giusto: il vocione, gli urletti, le chitarre scorticate, i passaggi bucolici e le esplosioni strappacamicia. Tutto fatto con la migliore vecchia attitudine emo, che a volte mi commuovo un po’. Dal vivo sono stati una conferma, ne voglio ancora.

American Football s/t
In questo anno bisesto il grande ritorno degli AF ed un nuovo album di Owen, come fai a non metterne uno in classifica. Siccome di Owen ho preferito il precedente la scelta è fatta. Non ho approfondito il parere dei puristi della prima ora, non mi sono fatto fregare dalle aspettative e mi sono limitato a gustare l’album in tutta la sua pienezza, innumerevoli volte. Io l’ho trovato bellissimo, regalatelo per Natale.

Labradors “The Great Maybe”

Seconda band italiana in classifica ed è tutto di guadagnato.  Il nuovo album di questo emo-power-trio (?) è energia pura che dirada le nebbie di questo periodo. L’album è un rullo compressore, pezzo dopo pezzo, difficile rimanere fermi sulla sedia senza far partire i coretti. C’è un bel pezzo intitolato a Jasmine e poi c’è Mario. No, dico, facile fare una bella canzone su Nina, Anita, Suzanne… ma su Mario? solo i Labradors possono. Non bastasse l’album, visti dal vivo all’Italian Party ed eletto miglior concerto 2016.

NO
Garrett Klahn s/t
Spero che il mio amico Garrett non legga mai questa roba, mi dispiacerebbe. Però dai, va bene che i Texas is the Reason si sono sciolti da un pezzo, va bene voltare pagina, ma qui siamo al limite dell’imbarazzo: le tastierine effettate, le chitarrine banali, la voce adagiata in un luogo confortevole tanto lontano da quello che ci ha fatto emozionare in passato. Vi faccio un esempio per capire. Garrett, di’ la verità, l’hai fatto per la figa.

Minor Victories s/t
Di questo album avevo sentito parlare molto bene da voci autorevoli. E invece no. Sarà che non ho mai sopportato il concetto di supergruppo, sarà che non ho mai sentito l’esigenza di questo shoegaze telefonato ed electro post tutto, faccio molta fatica ad arrivare a fine album. Manca l’amalgama tra quello che di buono poteva uscire da membri di Mogwai, Slowdive, Editors e neanche Kozelek salva la baracca. E per forza che manca, non si può creare un bel disco via email, almeno non per il tipo di musica che sento l’esigenza di ascoltare.

Anche il 2016 volge al termine, Giacomo mi ha chiesto di elencare tre dischi usciti nel corso dell’anno che mi sono piaciuti e due invece no
di Paso – forthekidsxxx.blogspot.it

paso

Ecco la lista:

3
Asphyx “Incoming Death”
Il ritorno degli olandesi Asphyx è l’ideale se volete affrontare l’inverno. Oscuro death metal venato di doom, una vera discesa all’inferno.

Darkthrone “Artic Thunder”
Come si fa a non amare Fenriz e Nocturno Culto? Il nuovo album dei Darkthrone è un viaggio tra la neve e i ghiacci norvegesi. Metal punk attack!

Cosa Nostra “Cani Sciolti”
Si può incidere un vinile di sole cover dei Nabat? Certo che si può. I bolognesi Cosa Nostra riadattano tutto in chiave hardcore senza alcuna remora.

+2
Metallica “Hardwired… To Self-Destruct”
È davvero ora di fare basta.

Metallica “Hardwired… To Self-Destruct”
È davvero ora di fare basta.

Un anno
di Trucco

washingtonUp
Big Cream “Creamy Tales” (ep)
È il disco indie rock anni ’90 di quest’anno. Suonerà come i suoi modelli ma lo fa in modo super scintillante. Creamy Tales è il risultato di un’ossessione per quel tipo di musica. Le ossessioni possono durare poco, oppure molto, ma lasciano il segno. Piccoli o grandi che siano, dopo un po’ di tempo, a voltarsi indietro, i segni che hanno lasciato c’è caso di vederli sulla parete più nascosta di casa. Non come le tacche nel fucile, ma come gli anni che passano, sulle pareti delle prigioni. Le ossessioni possono limitarti, ma hanno per forza anche un lato positivo: condurti alla conoscenza profonda delle cose su cui ti sei fissato. Ora, sto parlando di indie rock anni 90 e ho alzato un po’ troppo il tono della cosa ma, beh, c’è tantissima gente che è fissata con questa roba, io sono tra quelli, da qualche anno, e in qualche modo penso di poterla chiamare un’ossessione buona. L’ep dei Big Cream suona quella musica interpretandone bene le melodie e le distorsioni. Per questi motivi, è il mio disco dell’anno.

Mikky Blanco “Mikky”
Michael David Quattlebaum Jr. è nato in California nel 1986. Da piccolo vive coi nonni, perché sua mamma e suo babbo (ebreo afro-americano affetto da psicopatologie mentali) divorziano quando ha due anni. Da ragazzo, inizia l’Art Institute di Chicago ma lo molla presto perché, si, gli piace l’arte, ma non in quel modo lì. A 16 anni si trasforma ufficialmente in uno scappato di casa e si trasferisce a New York. Poco prima di partire aveva stalkerato via mail Vincent Gallo che gli aveva consigliato di non andarci, ma Quattlebaum non l’ha ascoltato, ha rubato i soldi ed è andato.
A NY, inizia la ricerca di se stesso. Parte dai tornei di go-go boy nei locali più cool, dove è l’unico che riesce a prendere 50$ a serata perché è l’unico che si spoglia completamente nudo. Non regge, e dopo qualche mese torna a casa, crolla psicologicamente e rimane lì per qualche anno. Nel 2008 ci riprova. Questa volta più caparbio, sempre alla ricerca del modo migliore per esprimere una personalità che nemmeno lui conosce. Lavora nel mondo delle gallerie d’arte come artsy-persona e scrive un libro dal titolo From the Silence of Duchamp to the Noise of Boys, seguendo le attitudini che gli sembrava di avere da sempre. Ma niente. Finalmente, nell’estate del 2012, Quattlebaum trova la sua anima drag queen e inizia a fare spettacoli nel cabaret downtown: nasce così Mikky Blanco, che in realtà è vestita come un oggetto d’arte contemporanea più che come una drag queen. “Mikky Blanco was this cosmic union in my mind” ha detto. Così, è fatta. Ma non bisogna mai fermarsi e dopo aver trovato l’identità personale, tocca a quella musicale.
Non sarà una cosa immediata neanche questa. Vanity Fair la definisce “hip hop new queen” ma lei pensa di essere piuttosto “un misto di cose incredibili provenienti dal riotgirrismo e dal ghetto”. Nel 2011, questo “misto di cose” la porta ad assumere un’altra identità ancora (dal nome No Fear) e a suonare industrial. Ma Mikky Blanco prende di nuovo il sopravvento e intraprende la strada dell’horror rap, che declinerà in modo diverso, un disco dopo l’altro: lei rappa sempre, le basi cambiano nel corso del tempo. Il primo ep (& the Mutant Angels, 2012) è una specie di flusso di coscienza accompagnato da ritmi tribali e da un trip hop pieno di venature che fanno di tutto tranne che costruire canzoni. Betty Rubble: The Initiation (2013) pesta con (un po’) più di decisione sui ritmi. Nel 2013, Mikky Blanco va anche in giro a suonare nelle metropolitane e si becca pure le botte. Ma non si ferma e arriva a fare il disco di quest’anno, Mikky, e concerti esplosivi come quello al Transmission IX. Mikky prosegue il discorso horror rap mettendoci dentro basi sempre più spinte e ritornelli veri e propri, in alcuni casi fatti di melodie molto belle. In uno di questi dice Tu hai masgica, su culo è sperrrme.
Spero che quello di Mikky non sia il Mikky Blanco definitivo e che nel prossimo album faccia altro ancora. O che magari Quattlebaum uccida Mikky Blanco e trovi un’altra faccia per definire al meglio la propria personalità. Per ora, Mikky è uno dei miei dischi preferiti del 2016. Il suo concerto, insieme a quello di Bob Mould, è stato il concerto dell’anno.

Waxahatchee “Early Recordings”

In primavera, mentre era in tour sulla West Coast, Waxahatchee si è ricordata all’improvviso di aver registrato cinque canzoni, più o meno nel 2011. Quando è tornata a casa le ha riascoltate. Panico. “The nostalgia I felt when re-hearing them was warm” ha detto.
Quando guardi le foto vecchie sei a rischio infarto ma in fondo ti piace? Ascolta gli Early Recordings di Waxahatchee, danno le stesse soddisfazioni, a lei, ma anche a te.

Down

Sad13 “Slugger”
Dopo Basement Queens con Lizzo e i remix in Foiled Again EP, Sadie Dupuis degli Speedy Ortiz ha fatto il suo disco di elettronica. Non basta però prendere le melodie degli Speedy Ortiz e metterci basi da principianti per uscirne vivi.

Pinegrove “Cardinal”
Ogni canzone di Cardinal dei Pinegrove è perfetta per stare dentro a Grey’s Anatomy. È come se i Gomez, di cui non sentivo la mancanza, avessero scelto di far parte del roster di Shonda Rhimes.

Sono in una fase di riscoperte di cose che mi ero perso per un motivo o un altro
di Giuseppe

greco

Cose belle
The Clean ‎”Compilation”
I Clean sono una band formata nel 1978 a Dunedin in Nuova Zelanda e sono un po’ come i Ramones perchè molti li citano ma come i Ramones non hanno mai davvero raggiunto un successo che invece hanno magari raggiunto altre band che a loro si rifacevano.
Il loro sound è sicuramente pop ma il modo con il quale viene prodotto oltre a una distribuzione che inizialmente si limitava soltanto alla cerchia degli amici li ha fatti entrare nel mito della scena indipendente neozelandese diventando un punto di riferimento per molti altri gruppi in giro per il mondo. Tant’è che nel 1998 a qualcuno venne in mente di realizzare un tributo dall’evocativo titolo God Save The Clean, A Tribute To The Clean nel quale band come Pavement e Guided By Voices rendono omaggio a questi oscuri menestrelli all’altro capo del mondo (letteralmente).
Il materiale prodotto nel primissimo periodo della loro comunque lunga esistenza venne raccolto inizialmente su una cassetta dall’emblematico titolo di Odditties che qualche anima pia più tardi raccolse in una compilation con l’altrettanto evocativo titolo di Compilation (Flying Nun, 1986).

Cakekitchen “Time Flowing Backwards”
Graeme Jefferies è una delle icone della scena alternativa neozelandese che dopo aver gettato lo scompiglio nella madre patria coi suoi This Kind of Punishment emigrò a Londra dove mise su una band con un basso e una batteria battezzandola Cakekitchen. Il primo album si intitola Time Flowing Backwards, venne pubblicato nel 1991 e ben rappresenta l’eclettismo del personaggio con un sound che nella tradizione di Dunedin rientra nel calderone dell’indie pop ma contemporaneamente ne straborda fuori per l’uso che ne fa delle chitarra e del basso miscelate con le tastiere. Come i Clean e i Bats, riescono a essere primordiali se non primitivi per il loro approccio molto Lo-Fi ma contemporaneamente molto raffinati, nonostante la tecnica di registrazione che rende a volte irriconoscibili i testi cantati. Ma vi serve capire quello che dicono? A me personalmente non tantissimo e tutt’ora canzoni come “Dave The Pimp” e “Witness to Your Secrets” per quanto grezze riescono a illuminare spesso le mie uggiose giornate. Se cercate una colonna sonora che potrebbe accompagnare lo spleen di un pomeriggio di pioggia passato a guardare le striscioline lasciate dalle gocce di pioggia sui vetri della finestra della vostra cameretta da eterni adolescenti questo disco fa per voi.

The Bats “Compiletely Bats”

I Bats sono una delle band fondamentali della scena neozelandese degli anni 80. Si formarono nel 1983 su iniziativa di Robert Scott reduce dei Clean, l’altra band fondamentale neozelandese.
Ce ne sono altre ma per iniziare queste due vanno benissimo.
Probabilmente hanno raggiunto vette di perfezione di quello che viene definito brutalmente pop, termine che aborro ma alla fine quello è. Solo che questo mi piace. Pubblicarono molti singoli ed EP prima di arrivare a pubblicare il primo lavoro lungo, nel 1987, dallo strano titolo di Daddy’s Highway. I singoli contengono alcune perle che permettono di carpire l’essenza della loro arte compostiva.
Compiletely Bats raccoglie il meglio di questi singoli come “Made Up In Blue”, “Trouble In This Town” e “Claudine”.

Cose brutte

C’è un oscuro personaggio che riesce a pubblicare tutto quello che crea. Ha una discografia che dal 1987 (anno di fondazione della band di cui è leader e compositore principale) ha composto e inciso centinaia di canzoni. Gli album come Guided by Voices hanno superato la ventina al pari di quelli usciti come solista, per non contare tutti i progetti collaterali con altri musicisti, ma dei quali è comunque sempre l’artefice principale, che comprendono altre decine di dischi.
La discografia di Pollard incute paura e timore reverenziale.
Ultimamente ha anche incominciato a raccogliere gli scarti in antologie che comprendono altre centinaia di canzoni (non sto scherzando). Pare che quasi duecento (200!) registrazioni del suo primo periodo creativo siano andate perse altrimenti le avrebbe sicuramente pubblicate.
Penso sinceramente che sia matto.
Ora, per quanto io sia aperto a ogni esperienza musicale, sopratutto le più oscure, da anni ogni tanto penso che forse Pollard abbia un po’ esagerato. Ogni disco contiene fino a venti pezzi, alcuni dei quali definire canzoni è forse esagerato. Secondo me sono brandelli di composizioni che gli altri musicisti semplicemente non pubblicano ma che lui nella sua megalomania pensa che possano interessare a qualcuno.
Tutto questo magazzino di frammenti musicali è talmente grande e vasto che le perle che crea, perle che esistono e sono tante, vi sono comunque disperse dentro e a volte non vengono notate. Qualcuno parla di un enorme talento sprecato da questa bulimia creativa. La sua produzione è sconfinata e non saprei neanche da dove incominciare.
Ecco, se proprio devo dire un disco che non mi è piaciuto, ne scelgo uno suo. Uno a caso perchè tanto ci si prende. Qua trovate la sua discografia, fate voi:
– Come Guided by Voices
– Come Robert Pollard.

PS: in mezzo ci troverete senz’altro delle gemme come “Get Under It” nell’album del 1996 Not In My Airforce, o “My Valuable Hunting Knife” tratta dal Tiger Bomb del 1995, ma sono come pagliuzze d’oro in un torrente di centinaia di canzoni.

Sull’altra cosa brutta ci sto ancora pensando

Hey, Capo. Possiamo scegliere il quarto posto?
Si dai.
Paso: Ulcerate, Shrines Of Paralisys – superbo death metal tecnico oltre ogni umana concezione
Trucco: Kate Tempest, Let Them Eat Chaos
Diego: Phill Reynolds, Love and Rage
Giuseppe: David Kilgour, Here Come the Cars (1991)

 

Buon 2017 a tutti.

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