L’AMO, quando si è sciolto, ha condiviso su Facebook un post molto triste. La tristezza era a un livello tale da diventare l’humus su cui scrivere un disco nuovo: GIONA. Per tutti i giovani tristi è uscito in streaming non molto tempo fa e uscirà fisicamente tra poco per To Lose La Track, Stop Records e Fallo Dischi. È un titolo esplicito. La prima canzone emersa dalla coltre dell’attesa (almeno per me) è stata Peroni, che racconta l’inutilità di una vita senza la persona che ami e senza le cose che vorresti – ma che non è più possibile – fare insieme a lei. Piccole cose, senza le quali rimane un vuoto che devi colmare da solo. Alla fine ho collegato e scoperto che parlare di quell’inutilità significa esserne coscienti e che dentro a Peroni c’è una consapevolezza rocciosa, ma di una persona a pezzi. Ci sono arrivato solo ascoltando tutto il disco. (Apro una piccolissima parentesi. Per ogni cosa, se ne parlo ne sono cosciente, ma una canzone ben scritta e ben suonata amplifica tutto. A volte, l’idea che mi faccio del primo pezzo estratto da un disco cambia molto quando ascolto tutto il resto. A quel punto la prospettiva sul singolo cambia e cambia il suo significato. Mi è successo con Peroni, che all’inizio per me era solo una canzone triste).
L’elenco delle canzoni di Per tutti i giovani tristi è questo, mi serve perché così posso mettere in neretto quelle di cui parlo di più. L’ordine nella track list non segue un discorso logico. Dopo vediamo in che senso.
1.Guardia
2.Squassanti
3.Pendere
4.Coerenza Tralalà
5.Tutto Tutto Vero
6.Gaiola
7.Peroni
8.BAR
9.Tutto Tutto Nero
10.Do You Wanna Dance?
11.Traiano
12.Assonnata
Legatissimo come sonorità alla new wave italiana di adesso, a Tante Anna e Havah, Giona ha un modo di cantare più irregolare di Baronciani e Camorani. Si è preso il suo spazio, le sue distorsioni sono meno sature, meno dark ed è più pop anche di Havah.
La musica ha tratti più morbidi rispetto a L’Amo. Li prende anche da Daydream Nation dei Sonic Youth. La cosa più travolgente è che li usa per raccontare punti di vista trancianti. I tratti morbidi danno vita a una calma sorprendente e a parole senza paura nel delineare le parti più inquietanti della vita, sugli amici, la propria città e l’amore. Succede in Assonnata, che dice “il taglio che ho su di me mi serve per portarti con me” in mezzo all’eco delle chitarre, laggiù, come se stesse parlando di cose senza importanza e innocue, come se solo la musica avesse importanza. Invece la musica è solo il muro contro cui si spiaccica la vita delle parole, ancora più violente della materia di quello schianto. Assonnata parla di un amore finito di cui non puoi fare a meno, una cosa che succede a milioni di persone. Ma a Giona succede in quel modo lì, con quelle chitarre e con quelle poche parole, che inquadrano la disperazione. Il tono nichilista ma propositivo, sempre favorevole alla distruzione, aggiunge il tocco di classe: “smetterei per non sapere cosa fare”. Del resto, le canzoni si nutrono del passato di Guardia, in cui si trascorreva “tutto il giorno a ridere di quello che non sarà” e in cui ogni verso scava una badilata in più nella fossa del cinismo: “picchiami come facevi dieci anni fa > picchiami sul cuore > cercalo in questa cavità > come al tempo della droga”. Giona fa sempre una scelta precisa, la sua vita è triste ma non è nelle mani di qualcun altro. Tutte le parole sono scritte in quest’ottica di reazione alle cose, ironica, beffarda e masochista, con molte sfumature. Pendere è il primo episodio della reazione contro la sudditanza. Dice: “lasceremo agli altri pendere dalle tue labbra: son troppo alto, son troppo alto. a ben vedere credo che tutto quello fin qui visto non è memorabile”. Poi Giona diventa quello che ha già dato e detto tutto, non disincantato ma svuotato da tutti i tentativi fatti, in Coerenza Tralalà, che dice “e se occorresse un motivo, ti prego non guardare me”. Tutto tutto vero è un’altra canzone all’attacco, poi il cuore torna in fondo alla bottiglia di Gaiola, e “non morir così sarebbe un peccato”.
Sono immagini che non restituiscono una linea di pensiero costante, al contrario. Descrivono situazioni tragiche aggredite con la forza delle parole che le immortalano, distaccandosene ma allo stesso tempo rendendole vivissime. È uno scontro condotto in modo instabile.
Poi arriva il giro di Peroni, momento-base, scena madre di un disco che mi provoca reazioni inaspettate. Quello iniziale è uno di quei giri di chitarra in cui ai concerti le mani si alzano con l’indice puntato appena parte la canzone, perché la si aspettava o perché la si riconosce subito, arriva la scarica, e giù a ballare sul ritmo della batteria. Ballare? E la tristezza dov’è andata a finire? Un pomeriggio ero seduto alla mia scrivania, al lavoro, ascoltavo in cuffia Per tutti i giovani tristi e pensavo alla passione per le tette che ho in comune con il cantante dell’Amo e di Giona (si ascoltino rispettivamente Non è semplice slacciare un reggiseno e Squassanti). All’altezza di Pendere mi è venuta voglia di ballare, salire sul tavolo, che è piccolo ma a forma di palcoscenico, e seguire la linea ellittica che disegna, a piccoli passi, poi a salti, da destra verso sinistra, da sinistra verso destra e così via. Non l’ho fatto, una delle cose che ho scoperto quest’estate è che faccio fatica a ballare anche quando sono ubriaco, figuriamoci nel grigio di quei mobili con il rumore zanzaroso dei computer e delle tastiere che battono come cento telescriventi sotto alle cuffie. Però mi era venuta voglia. Ballerò al concerto (al Vidia), alzando il ditino all’inizio di Peroni. No, non lo farò. Mi guarderò intorno, non ci sarà un rumore lavorativo ma una chitarra, delle melodie vocali distaccate ma imponenti e una batteria glaciale. E sarà POP! un mulino di lacrime ma POP. In quel momento avrò in tasca la sicurezza di chi sta passando un momento bello. E, in questo momento, in cui parlo di quel momento, a quanto pare sono così sicuro di me da usare i punti esclamativi e il maiuscolo nelle parole.
Ma non sono convinto di questa sicumera, perché ascoltando Giona mi rimane una sensazione amara, quella di uno che non sa ballare, perché in fondo il sentimento prevalente nel disco è proprio la tristezza, nonostante tutte le sfumature, anche quando il futuro non sembra così terribile, anche con l’amore ancora non del tutto morto, nonostante l’aggressività sia, a volte, la prima sensazione che mi salta nelle orecchie. Un altro momento-base del disco è BAR, l’amore che forse continua, l’apice della gioia, la tristezza di uno che – malgrado tutto – ha speranza, che dice:
“a me non sembra sai che tutto finirà, io conservo tutto quel che mi dai e poi finiremo a bere in quel bar, lo so, sorry, sono abitudinario e non posso fare a meno di te. e poi parliamo ancora di quel viaggio che tu desideri fare insieme a me. no, non voglio, lo sai mi muovo poco, lo so, sorry sono abitudinario e non posso fare a meno di te”
BAR, Peroni, Assonnata, Pendere sono quattro momenti in cui la consapevolezza della tristezza c’è, ma non è definitiva. La vera consapevolezza, la sua sfumatura più profonda e sottile, è affidata a un attimo e non è mai così limpida fino a quel momento, che dura 55 secondi: Tutto tutto nero. Le canzoni prima e dopo non hanno un ordine in crescendo verso Tutto tutto nero, non sono un percorso graduale, perché non per forza ce ne deve essere uno per arrivare a dire le cose. Poi chiuso, basta, tutto torna come prima. E questo è il disco di un uomo che sa come sta ma che non si comporta di conseguenza. La consapevolezza di una cosa non comporta per forza la sua accettazione. Non c’è corrispondenza tra la consapevolezza delle parole e il tono del disco; in questo senso Per tutti i giovani tristi si auto-spara in due direzioni, è pessimista ma mantiene una sua forza di fondo.
Rimane un mistero per me, per esempio, il ruolo di Traiano, che parla di una vita senza possibilità, di un coltello e di amici col coltello più lungo. Lo stesso che c’è in testa alla pagina dello streaming del disco di giona su bandcamp? E rimane un mistero il ruolo dell’amico nominato in Tutto tutto vero. L’amore non c’entra niente e tutto il disco parla di amicizia?
Insomma, è un percorso pieno di alti e bassi per vedere 55 secondi di nero definitivo. Il disco non si chiama, non so, Siamo giovani e tristi, ma Per tutti i giovani tristi. Per tutti i giovani tristi è meno definitivo e rende significative tutte le sfumature di tristezza delle canzoni. In questa scoperta delle mille tristezze, Tutto tutto nero è il momento peggiore, quello in cui Giona si rende conto che nessuno ha un ruolo decisivo nella vicenda. “Quel che noi saremo, sai, non sta a noi decidere. io vedo tutto nero”. Tutte le sfumature precedenti e successive si schiantano su questa.
E la domanda da porre a Giona mentre suona dal vivo è Are You Ready To Be Heartbroken?. È il titolo di una canzone di Lloyd Cole and the Commotions che ho conosciuto a pagina 131 di “My Tunes” di Blatto (leggetelo). Lloyd Cole dice che la sofferenza d’amore è la peggiore di tutte. In sostanza: adesso sei carichissimo per tutta una serie di motivi, ma sei pronto ad avere il cuore spezzato? È una cosa che non dipende da te, se succede, succede, puoi essere tutto quello che vuoi adesso, ma non serve a niente. Sei pronto a ricevere questo regalo che non vuoi? Quella è la domanda, e la risposta è no, anche se heartbroken Giona lo è già, sa di esserlo, ma non è pronto.
Rimane in sospeso una cosa che ho tirato fuori prima, l’aggressività. Può essere un’arma di difesa, soprattutto con quella chitarra in mano. Giona ha preso la tristezza e l’ha messa dentro a un flusso di canzoni fatte di sentimenti non definitivi e alla fine ha espresso il punto di forza dei giovani tristi nella coscienza del proprio stato d’animo, mantenendo un costante atteggiamento all’attacco. I giovani tristi potrebbero essere per questo anche giovani molto resistenti e minacciosi. Questa violenza è latente all’interno del disco. Serve per difendersi, per non sentirsi schiacciati da quello che succede.
C’è una doppietta di canzoni che ha un certo significato. La 9 e la 10. Dopo Tutto tutto nero puoi, se vuoi, se sei capace, ballare sulla cover di Do You Wanna Dance?. Quando ti fa ballare, Giona ti ha già detto che non c’è speranza. Vedi tu se seguire il suo percorso irregolare fino in fondo o fermarti prima e accettare la consapevolezza definitiva come tale, e basta.
Mi hai regalato un tempo meraviglioso: quello del cuore che trabocca alla scoperta che esiste ancora chi significa le parole. Meravigliosa recensione, meraviglioso disco. Buona fortuna.
Grazie 🙂
Buona fortuna anche a te.