Vascellari l’altra sera si lamentava del fatto che nessuno ballasse e minacciava di smettere (a quanto pare lo fa spesso). L’ha ripetuto almeno tre volte, ma ha continuato a suonare. La gente ballava, ma lui continua a ripeterlo. Un copione che si sente in dovere di recitare, una performance.
I Ninos du Brasil fanno ritmi brasiliani, ma dei più abusati, e fanno anche della cassa in 4/4 (molto spesso). Il risultato in alcuni momenti, frequenti, soprattutto dal vivo, sono i Chemical Brothers di 15 anni fa aggiunti di suoni e ritmi brasiliani ovvi. Piace, e non solo a quelli che di solito vanno a ballare nei locali sbagliati. Tamburi continui, attacchi aggressivi per far ballare, subito, ritmiche monotone, sempre di uguale intensità, non troppa elaborazione, non troppe venature, solo qualche volta, e ripetitività, la ripetitività del minimalismo, ma dal vivo la voglia di fare bolgia supera qualsiasi desiderio di fare ascoltare una musica e i suoi dettagli. E anche su disco, non è che l’amore per il dettaglio venga fuori di più. Tutto mi dà una sensazione di fondo di approssimazione, di voglia di caricare gradualmente sul battito, rielaborando poco, solo facendolo crescere attraverso la ripetizione, ripetendo all’interno delle singole canzoni le stesse frasi, sovrapponendole, giocando sull’estremizzazione intesa come ripetizione ossessiva. Il risultato non è l’ipnosi che mi fa entrare dentro alla musica, ma un’estraniazione, che mi allontana. Ripetizione, l’ho detto abbastanza volte, ma faccio lo stesso gioco dei Ninos du Brasil.
Un altro punto a sfavore dei Ninos du Brasil dal vivo sono i Chemical Brothers. 15 anni fa i Chemical Brothers erano sufficienti, adesso non lo sono più perché l’elettronica, quella più fruibile ai molti che non l’ascoltano davvero, tra cui io, cioè quella di Caribou o Four Tet, per esempio, ha allargato molto la mia visione sull’elettronica di non ascoltatore di elettronica. L’unico pezzo bello che hanno fatto (Legios de Cupins), più delicato, ha svuotato la pista. Per il resto tutti, donne e uomini (e, così, senza aver fatto sondaggi, mi viene da dire che di solito quelle persone vanno a ballare in locali diversi dal Bronson) hanno ballato senza sosta. Hanno ragione loro quindi, ma il concerto è stato veramente una presa per il culo.
E Vascellari continuava a intimare BALLATE ALTRIMENTI È L’ULTIMA. Non mi è piaciuto il suo modo di fare, fare finta di voler smettere, giocare all’arrabbiato. Stare di più sotto al palco, ammazzarsi, era questo che si chiedeva ai concerti emo punk e hard core. In tre si mettevano a pogare, se andava bene, bene, se andava male, era lo stesso. Adesso le cose sono esattamente come allora. Un gruppo (metti, screamo) suona, nella sala ci sono tre gatti, il cantante gli chiede di avvicinarsi, loro lo fanno: bolgia. Loro non lo fanno: il concerto lo finisce lo stesso, o magari il gruppo smette di suonare, ma non minaccia di smettere e poi non smette. Tra qualche anno lo farà, se avrà avuto un briciolo di successo, ma solo perché si sentirà nella posizione di farlo, perché adesso non è nella posizione di farlo. Nico Vascellari lo fa solo perché ha un passato importante – circa, sempre tenendo a mente che tutto è relativo a quello di cui sto parlando: musica – e solo per quel passato non dico che è un coglione. Il suo lavoro da artista non lo conosco, per ora mi sono limitato alla musica. Una volta era una delle Persone dell’hardcore italiano, uno dei più significativi. Sempre un po’ teatrale, ma con i With Love dal vivo era una scheggia, e insieme una pippa lunghissima, ma ruvido, buono e cattivo allostesso tempo, intelligente.
I With Love li ho visti a Pontecucco di Cesena, che era poi il Centro Sociale dei Konfettura, e la sala era piena di gente. In quei giorni devo essere capitato in macchina con un amico che aveva lo split live con i Concrete. I titoli dei With Love in quello split sono Words, Acustica, Quella veloce, Fear. Qualcuno disse in un impeto critico che quello che mancava ai With Love erano i titoli. Dal vivo erano stati incredibili, un po’ anche perché non facevano il mio genere preferito, ma ricordo Nico Vascellari abbastanza prolisso, e nerboruto. Lì davanti al palco la gente si ammazzava, senza che glielo chiedesse. È lì, credo, che voleva arrivare Vascellari l’altra sera. Di fatto c’è arrivato, ma non gli bastava, la performance era stata preparata ed era da fare. Negare il fatto che il pubblico ti stia già dando quello che gli chiedi non è una cosa bella da fare. In realtà il pubblico (io non ballo più, in generale) stava dando di più di quanto non stesse ricevendo dai Ninos du Brasil, ma i Ninos du Brasil dovevano non essere soddisfatti. Non si tratta più di chiedere partecipazione a una cosa che senti e nella quale anche il pubblico è coinvolto perché appartiene a una scena musicale, ma di voler ottenere consensi e riconoscimento come artista a prescindere, per una performance di fatto cristallizzata e per questo per niente comunicativa e fredda, un copione eseguito a occhi chiusi e una musica insoddisfacente. Se i consensi te li danno, è tutto grasso che cola. È questo il punto, credo.
Non penso che tutti sapessero che il frontman era quello dei With Love e non credo che tutti sapessero chi sono i With Love, e penso che non gl’interessi, molti erano lì perché i Ninos du Brasil si sono fatti conoscere in ambienti diversi (e questo è un bel risultato). Per chi conosce i loro trascorsi, Vascellari e Fortuni (anche lui ex With Love) fanno i santoni che vengono dal passato e ci prendono in giro parlandoci di un Brasile turistico e proponendoci una novità e una musica in modo superficiale (soprattutto il primo disco Muito NDB, soprattutto Tupelo). Italiani che vogliono fare i brasiliani. Un artista tenta di non ripetersi, i With Love volevano essere fuori da qualsiasi copione ripetuto, col tempo infatti hanno iniziato a fare sostanzialmente noise e video arte, per quel motivo, credo: per uscire da un copione che incominciava a ripetersi. Nella stessa ottica (fare qualcosa di diverso, magari ritagliandosi anche un pubblico diverso) Vascellari ha fondato i Ninos du Brasil ma alla fine è la musica a non essere sufficiente, a ridurre a ritmiche e note tipiche, grottesche, una tradizione musicale (brasiliana) enorme. Dal vivo e sugli album.
Ninos du Brasil sono sicuramente differenti da tutto il resto in Italia – cioè ci saranno altri gruppi che fanno del Brasile (i Caiman?), ma intendo valutando anche il fattore sorpresa, il fattore curiosità destata (all’inizio, nel 2012) da un progetto musicale nuovo e diverso rispetto alla tradizione da cui proviene – ma non riesco ad accontentarmi di un’idea diversa solo perché è tale se non viene fuori il cuore e il motivo per cui viene proposta. E non mi piace il concerto dal vivo se lo conduci come una performance programmata in modo ottuso, senza valutare che a volte è meglio cambiare le cose in corsa in base a ciò che succede, che a volte può non essere prevedibile. Non credo che sia sempre possibile portare avanti insieme una performance artistica e un concerto live, credo che abbiano esigenze diverse, vadano nutrite in modo diverso, abbiano ritmi diversi e un rapporto diverso col pubblico. Imprevedibilità, a vascolari secondo me piace essere imprevedibile. I With Love mi piacevano un po’ anche per quello, ero nell’età in cui la follia mi affascinava sempre, e il rock che ascoltavo di più era molto più regolare. Ora la follia dei Ninos du Brasil è ridotta ad aggredire il pubblico, a trattarlo male, e a ritmiche ossessive. Non sono cose nuova, né imprevedibili.
Vascellari doveva trovare un modo di esprimere la sua impellenza e voglia di diversità musicale – è giustissimo, non voglio che With Love tornino a suonare – ma ha pensato a Ninos du Brasil, e magari la prossima volta penserà a qualcosa di meglio. È un artista, non solo un musicista, che performa la musica, ma per il momento non lo fa in modo creativo e interattivo: il copione della performance dice che la risposta deve arrivare solo dal pubblico e non dall’artista. Non lo trovo un modo illuminante di condurre uno spettacolo.
Era Passatelli in Bronson, il 20 dicembre. Di spalla c’erano HAVAH, per fortuna, e Be Forest. HAVAH non l’ho messo nella classifica dei miei dischi del 2014 ma avrei dovuto.
Lui è un brutta persona (almeno nella finzione)
Concordo.