Per scrivere un testo evocativo non è necessario tirare in ballo Kurt Cobain. Dopo l’ondata di NUOVI cantautori, sto cercando esempi che mostrino che oggi in Italia c’è chi sa scrivere testi con un senso; la ricerca non è difficile e questo su HAVAH è il mio secondo tentativo andato a segno.
Non so se è un cantautore o no – ho provato a definire a me stesso cantautore italiano ma non sono stato capace, considerata la stratificazione di caratteristiche diverse che si è andata creando negli anni sul cantautore italiano, quindi ho lasciato perdere – ma HAVAH è un esempio utile a capire come si può fare a uscire dallo stagno del testo inutile, proprio come lo è CASO. Parolieri, autori delle musiche e non dei testi, autori di testi e musiche, sulla categoria sono saltati su un po’ tutti. Non so, Piero Ciampi non scriveva le musiche, Lucio Battisti non scriveva sempre i testi, Umberto Bindi scriveva solo le musiche, Renato Zero fa un po’ di tutto, e chi lo sa cosa fa Niccolò Fabi. La definizione vorrebbe che il cantautore italiano interpretasse le canzoni che ha composto interamente, ma ci sono un sacco di figure impure che VOX POPULI sono considerate cantautori. Cantautori sono o sono stati un po’ tutti in Italia quelli che hanno messo un dito nella musica che facevano o fanno, quindi non mi sforzerei così tanto per essere definito (o non mi dannerei per appiccicare su qualcuno la definizione di) cantautore perché non determina un approccio (non ho mai ben capito cosa si intenda quando si parla di approccio cantautorale, non è un approccio, è sapere scrivere qualcosa che assomigli alla musica o a un testo vagamente musicale), non stabilisce un livello di qualità e non mette nero su bianco neanche che sei così bravo da scriverti tutto da solo. Ma dà importanza a prescindere, a livello di aura.
HAVAH scrive musica e testi, a quattro mani oppure no (in un recente passato lo ha fatto con il tipo dei Fine Before You Came e dei Verme), quindi rischia di essere più cantautore di altri. Da un po’ è in streaming il quarto lavoro di HAVAH, Durante un assedio. Dentro non ci sono mai frasi che servono per farci capire che Michele camorani, cioè HAVAH, è intelligente e ispirato (Dente è un maestro in questo), ma affermazioni concise, per lo più tristi e/o arrabbiate, che dicono cose chiare oppure creano immagini efficaci, usano bene le rime (decidi/suicidi/recidi – Demmin) e si muovono nel limbo compreso tra la vita reale cattiva e la vita sognata vendicativa; i passaggi testuali di HAVAH non sono sempre chiari ma questo dà consistenza al suo modo di scrivere cose che stanno a cavallo tra la cattiveria, il romanticismo cinico e il surrealismo. HAVAH è sia la vittima sia il carnefice delle situazioni che racconta, osservatore ma anche parte in causa: quando dice la percezione che hai di me / cambia struttura alle stanze subisce, quando dice hai detto delle cose che mi hanno veramente disgustato attacca.
Non è tutto qui. Ho cercato di farmi un’idea di quale tipo di immaginario potesse esserci dietro a Durante un assedio. E questo è uno dei punti: dentro a questi testi c’è un immaginario. Che trova il suo ambiente ideale in questa musica, che tra l’altro suona mostruosamente sincero e a cui HAVAH fa riferimento di continuo. Spesso, ad ascoltare le canzoni di altri cantautori, pare che l’immaginario sia stato creato ad arte, posticcio, e che una volta uscito dalla canzone all’autore non gliene freghi più niente di quello che ha appena cantato. Ma sono soli impressioni, non ho le prove.
Un’altra cosa che mi pace dei testi di HAVAH, e quindi che mi piace di HAVAH, è la sua capacità di rinunciare alle parole e di scegliere solo quelle che servono davvero. Non ho idea di quale possa essere il processo di scelta, ma c’è e deve esserci. Il risultato è il massimo cui si può aspirare: sovrapposti alla musica, il significato e il suono delle parole sono perfetti. La cantilena e le vocali trascinate sono elementi belli e che stanno sempre bene con la New Wave in generale, in particolare con la Wave di HAVAH. Ed è proprio qui che volevo arrivare, alla Wave di HAVAH, cioè alla forza costante e inesorabile con cui spinge avanti la propria musica, un flusso regolare di chitarre, batterie e parole, che s’innesca in modo particolarmente figo in Waco (quando son difronte a te a dichiarar vendetta la chiamo / autodifesa). Durante un assedio non c’entra niente con i recuperi dal passato che si sentono adesso, quelli lucidati e aggiustati: è un disco New Wave dai suoni e dai toni cupi e stop. Insiste di più sulle sonorità New Wave rispetto a Settimana, che adesso mi suona meno buio, ma quando è uscito mi suonava buissimo. Più che in Settimana, che mi sembra più tagliente, e a volte è anche più veloce, in Durante un assedio HAVAH mantiene un profilo basso, come se avesse voglia di dire le cose in modo deciso ma senza colpi di testa che distolgano l’attenzione dal contenuto. Così spara dentro le cuffie con cui lo ascolto 8 canzoni di un livello altissimo, sotto tono ma feroci. Il risultato post-cuffie è una sensazione di disagio e malessere non personale ma generalizzato, unito alla voglia di riascoltare. Avere una gran voglia di ripartire dalla 1 per riascoltare una cosa che so che mi porterà a incupirmi è un desiderio che mi conduce a uno scontro con me stesso, e alla fine vince il tasto play.
C’è stato un momento preciso in cui mi sono reso conto della profondità di questo disco. E’ stato non subito, ma dopo un po’, quando ho capito, o almeno credo di aver capito, che HAVAH suona e scava nella verità di alcune situazioni ed esperienze personali. E solo a quel punto ho notato che per comprendere un testo bisogna aspettare che si inserisca nella canzone, che trovi uno spazio e che venga cantato, per farlo respirare, per fargli prendere una forma che sia la più vicina possibile a quella di un significato non solo testuale ma anche musicale, un significato dato da quello che dice con più o meno chiarezza il testo e da quello che ti ispira la musica. A volte non c’entrano niente l’uno con l’altra, a volte sono all’opposto (mi viene in mente, che ne so, Piuttosto bene dei Gazebo Penguins), a volte possono avere le stesse sfumature. A proposito di spazi, la chitarra (Zalongo) crea quelli in cui si infilano le parole e pare che abbiano un senso ad ascoltarle solo dentro a quegli spazi stretti, non a leggerle sullo schermo bianco del bandcamp. Ecco una cosa che deve fare chi scrive testi per le canzoni: scriverli per le canzoni. Non scrivere poesie, e non mi frega che il testo assuma valore anche al di fuori della musica, ma che in qualche modo esploda o imploda dentro alla canzone.
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