Un film con un problemone e altre cose sullo stesso film (The World’s End)

nick frost

Terzo episodio della Trilogia del Cornetto, dopo Shaun Of The Dead e Hot FuzzThe World’s End è inferiore ai precedenti. Ormai sono passati mesi dalla release italiana, 26 settembre 2013, e negli altri blog/siti che se ne sono occupati il tempo ha permesso di accumulare webpages su webpages dedicate ad altro. Comunque – e che puppi l’essere sul pezzo – le cose buone, o cattive, del film le ho messe giù così.

1. Non sembra, ma è una cosa importante. Io non sapevo che ROBOT volesse dire in cecoslovacco LAVORO PESANTE e che il termine da cui ha origine (ROBOTA) derivasse dallo slavo antico RABOTA, che significa servitù. Quindi un ROBOT è uno SCHIAVO. Sono un ignorante fantascientifico e questa per me è un’informazione nuova, me la posso rivendere, anche voi. Mi piace sempre quando mi spiegano l’origine delle parole, dà per un attimo la sensazione di poter conoscere a fondo qualsiasi cosa e ti il dà respiro che solo il passare attraverso la storia della lingua può darti. The World’s End dimostra un’attenzione preziosa al particolare linguistico di “robot”. Con l’affermazione insistita del suo contrario, il significato della parola diventa parte fondamentale del significato del film: il non essere schiavo è uno status raggiunto dagli invasori (i Vuoti) ma che alcuni umani devono ancora raggiungere. Alla fine la cosa più bella di The World’s End è il Gary King (Simon Pegg), dipinto come un mezzo coglione, che per metà non ha capito niente, per l’altra metà ha capito tutto: è solo e non ha fatto niente nella vita, ma nonostante questo, e la malinconia che si porta dentro a causa di questo, ha ancora voglia di fare il miglio dorato, cioè il giro dei pub, che vuol dire più o meno vivere. Gli altri non ne hanno voglia, ma non sono tanto più contenti di King, sono più o meno succubi di un modo di vedersi. Di over 30 in crisi parliamo anche nei film italiani, ma la malinconia inglese in The World’s End è più profonda della nostra. Lo stupore maggiore nel vedere il film deriva dal fatto che questo è un argomento serio ed è preso molto seriamente. Non pensavo, perché nella Trilogia ci sono altri argomenti seri (come, boh, l’amicizia) ma non sono presi così sul serio.

spoiler alert

2. La sceneggiatura è curata ma non a fino in fondo al racconto. Gary King, Andrew Knightley, Oliver Chamberlain, Steven Prince e Peter Page sono rispettivamente sbruffone, disperato, triste, egocentrico e sfigato ma potenzialmente molto violento. Caratteristiche che potrebbero rendere molto brillanti i dialoghi, e infatti a volte ci riescono. Poi alcuni muoiono e succede un fatto spiacevole: lo sviluppo del film toglie forza alla storia perché la priva di alcuni personaggi che la rendevano interessante. OK, perché il morto serve, ma serviva anche qualcosa che riempisse il vuoto lasciato. Che ne so, un rotolarsi verso un finale intelligente, molto divertente e non messo insieme dando l’idea del non ho trovato di meglio. C’è il rotolarsi, ma non il resto. Il mondo finisce dove la trilogia finisce, quando lo script non riesce ad arrivare dove avrebbe dovuto si cala il sipario su un passato brillante.

3. E’ il momento migliore del film, anche se è un po’ lungo. I Vuoti alla fine mandano affanculo gli uomini perché sono intrattabili, li abbandonano a se stessi dopo averli cambiati, sfruttati, uccisi. Il confronto tra Gary King e il Capo dei Vuoti è un incontro ravvicinato del terzo tipo ma Edgar Wright e Simon Pegg lo rendono del tipo noioso, sgonfio, solo potenzialmente forte. Perché perdono il treno del tempo della comicità. E nella comicità i tempi sono tutto, cazzo, lo sanno anche i muri.

4. Borghi misteriosi. If you live in a small town and you move to London, which I did when I was 20, then when you go back out into the other small towns in England you go ‘oh my god, it’s all the same!’ It’s like Bodysnatchers: literally our towns are being changed to death“.
L’ossessione di Wright è giunta al terzo capitolo. Nella piccola città succedono le peggio cose, ce l’avevano già detto David Lynch e ahimè Pupi Avati prima di lui. Lui ha il merito di aver dato una bella e insistita riverniciata al tema. Ma qualcosa non ha funzionato. La piccola città è il posto in cui sei sempre stato (Shaun Of The Dead) o quello in cui devi o vuoi andare (Hot Fuzz e The World’s End) e Gary King vuole tornare a Newton Heaven per chiudere un conto col passato: arrivare alla fine del miglio dorato, cosa che non era riuscito a fare 20 anni prima per colpa degli altri. The World’s End ricorda troppo Paris, Dabar, che è girato in via del Pratello a Bologna e che Wright e Pegg non hanno visto di sicuro, ma cazzo, proprio lì dovevano andare a parare, nel tour di pub? Si, perché sono inglesi. L’unione di ovvietà (piccola città=grande mistero) e tradizione (gli inglesi che bevono molta birra al pub) condanna gli autori all’immobilismo. Hot Fuzz era troppo riuscito nel descrivere con cattiveria e distacco una tradizionale cittadina inglese, birra compresa, e non poteva esserci capitolo migliore di quello. Ritornarci su per insistere sul tema del piccolo borgo cattivo con birra non è stata una scelta felice. Il luppolo diventa il fltro grazie a quale si tenta di sopravvivere ai segreti del paese, i due elementi si sovrappongono – quando invece nell’episodio 2 erano semplicemente accostati – ma non c’è un’idea che fa svoltare il film: l’imperativo “dobbiamo continuare a bere per salvarci la pelle” resiste, resiste e resiste ma alla fine mi straccia e si straccia, e non viene sostituito con una valida alternativa. E qui torniamo al punto 2, il problemone sceneggiatura nella sua parte conclusiva.

5 (extrafilmico, demenza italiana). Come spesso succede, in italiano i titoli li traducono col portafoglio e anche La fine del Mondo c’è cascato dentro, al portafoglio. The World’s End è anche il nome dell’ultimo pub del miglio dorato, quindi aveva senso non tradurlo proprio. Per questo sto usando il titolo originale. E più o meno per questo sto usando Shaun Of The Dead e non L’alba dei morti dementi: il titolo originale non è demenziale, almeno non solo. Hot Fuzz è uguale.

edgar wright

6. La fine dello stereotipo wrightpegghiano. The World’s End non è solo un ritorno a Hot Fuzz, ma anche a Shaun Of The Dead, anche se per un altro motivo. Dudley Moore e Eddie Murphy ci hanno insegnato che la miglior difesa è la fuga e Wright e Pegg ritornano per la seconda volta a dirci che quell’insegnamento è sacrosanto: come i protagonisti del primo film, anche quelli del terzo scappano, al contrario di Nicholas Angel che in Hot Fuzz insegue. Beh alla fine, dopo le resistenze iniziali, tutti i pubmaratoneti decidono di sbronzarsi di birra, per sfinimento e per fuggire da una realtà invasa dai Vuoti. Il poliziotto Angel è molto più duro di tutti loro e non sarebbe stato credibile se quattro inglesi over 30 tendenzialmente depressi avessero aggredito la situazione come ha fatto lui. Gli stereotipi è giusto spremerli fino in fondo: gli ultratrentenni tristi devono bere, il poliziotto invasato deve fare il suo dovere. Il problema non è di Hot Fuzz, ma di The World’s End, dove lo stereotipo non è più divertente come prima.

7. L’organizzazione di Pierce Brosnam manda a fare in culo il genere umano. Ripetitivo ma profondamente salutare e tradizionalmente rilevante il tema dell’organizzazione che tenta di conquistare la città (The Body Snatchers): prima gli zombie, poi gli umani e alla fine i Vuoti. Del resto, se il Cornetto non avesse idee ricorrenti al suo interno non sarebbe una trilogia. In The World’s End l’idea ricorrente è un vantaggio e i Vuoti sono una trovata meravigliosa. Lo dico sempre da ignorante fantascientifico. Lo è ogni loro caratteristica. Che ne so: il loro modo di combattere, quello di organizzarsi, il loro capo Pierce Brosnam ma soprattutto il modo in cui mandano affanculo gli umani.

Quindi, mi è piaciuto o no The World’s End? Ho tirato fuori 7 cose sul film, di sicuro non tutte sono le più importanti universalmente, ma lo sono per me. A conti fatti la sfida si conclude 5 a 2 per le caratteristiche negative, o 4 a 2 se non considero la questione del titolo italiano, la cui responsabilità non si può attribuire alla pellicola così come è stata licenziata dagli autori. Bisognerà considerare anche il fatto che tra le cose NO c’è finita pure la sceneggiatura, che ha un tòcco di importanza grande così nell’arte cinematografica. No, non mi è piaciuto.

E così stiamo per arrivare alla fine della Trilogia del Cornetto (NO SPOILER)

E così stiamo per arrivare alla fine della Trilogia del Cornetto

Sharon Zampetti

Quando ho visto per la prima volta Shaun of the Dead (L’alba dei morti dementi) di Edgar Wright, con Simon Pegg e Nick Frost, l’ho trovato molto divertente, più precisamente mi sono spaccato dalle risate. Era molto strano ridere vedendo un film con gli zombie. Di solito a guardare i film degli zombie si doveva stare tutti in silenzio perchè solo il fatto che tu li guardassi implicava che ti piacessero e che quindi in qualche modo venerassi quel mondo. Il che poi, voglio dire, al sessantesimo film di zombie può anche romperti i coglioni. In uno (da La notte dei morti viventi) c’è lo zombie lento, in un altro c’è lo zombie che corre, nell’altro c’è lo zombie che cammina normale, nell’altro ancora lo zombie che cammina a doppia velocità, lo zombie nazista, lo zombie robocop, la sciura zombie e lo zombie benzinaio. Poi, lo zombie che pensa e si organizza, in La terra dei morti viventi (2005) di Romero. Romero ha inventato un grande genere, ma poi gli hanno spremuto un pò troppo le palle.

Shaun of the Dead (un 2004) ha esplicitato il bisogno di ridere e non è che si ride perchè il film è ridicolo, si ride perchè gli autori hanno deciso che devi ridere degli zombie e non atrofizzarti il cervello solo perchè sono zombie. Di fronte a uno zombie-movie ci si abbassava al livello degli zombie: imbambolati, con il cervello legato, si diceva che bello ci sono gli zombie. E non ci si rendeva conto che eravamo prigionieri di un’idea, la zombiedea, fichissima all’inizio, evoluta e impoverita alla fine.
Per fortuna che c’è Edgar Wright, paladino dell’umanità viva. A un certo punto, nel suo film, decide che i suoi protagonisti sono costretti a fingersi zombie per attraversare una mandria di morti viventi e salvarsi. Lo fanno e si rifugiano al pub, il Winchester. È la scena madre del film (la scelta della scena madre è decisamente soggettiva), con la quale Edgar Wright ci fa intendere che possiamo liberarci quando vogliamo degli zombie, possiamo anche menarli per il naso. E vaffanculo agli imbambolamenti. E Romero fu così contento dopo aver visto Shaun of the Dead che chiese a Simon Pegg ed Edgar Wright di partecipare alle riprese di La terra dei morti viventi. Loro accettarono naturalmente, perchè il loro Shaun of the Dead non avrebbe potuto esistere senza Romero, e recitarono la parte di due zombie, intelligenti.
Hot Fuzz (2007) è il secondo film della The Three Flavours Cornetto Trilogy, che per comodità chiamerò Trilogia del Cornetto o Cornetto Trilogy), è sempre di Edgar Wright e ci sono sempre Simon Pegg e Nick Frost. È un poliziesco, è la presa in giro del genere ed è ambientato a Sandford, piccola città da qualche parte vicino a Londra, dove tutto sembra tranquillo, ma tranquillo non è. Hot Fuzz si prende gioco di tutto il mondo del poliziesco, è pieno di sketch che pagheresti oro per viverli in prima persona, ma non è meglio di Shaun of the Dead. È un pò prevedibile l’idea che a Sandford ci sia del marcio. In fondo, volenti o nolenti, felici e contenti o contrari e contrariati, siamo tutti figli di Twin Peaks. Rimane fermo il fatto che:
1) avrei voluto essere lì durante la festa di paese;
2) avrei voluto che YARP e NARP fossero vocaboli della lingua italiana;
3) voglio fare il poliziotto.

Paul è una delle più o meno piccole parentesi di Simon Pegg e Nick Frost nel corso della vita della Trilogia del Cornetto, e Scott Pilgrim vs. the World è la piccola parentesi di Edgard Wright. Paul è un film su un extraterrestre, Scott Pilgrim su un supereroe, quindi ci stiamo dentro. C’è da precisare Simon Pegg è diventato una star e ha interpretato parti non di poco conto in Star Trek, Star Trek – Into Darkness, Grindhouse, Mission Impossible 3 e Mission Impossible – Protocollo fantasma. Tutta roba seria, ma, insomma, ha fatto anche altro e ha dimostrato di essere l’unico attore al mondo mediamente prolifico e molto eclettico con una sola espressione disponibile. Per questo ci piace molto. Nick Frost c’ha provato con I Love Radio Rock e Biancaneve e il cacciatore ma, diciamolo: lui è grande, quelli non erano i film giusti. Per questo ha deciso di tornare con Edgar Wright e Simon Pegg per The World’s End, ultimo capitolo della Cornetto Trilogy.

Leggo su Wikipedia che “Ogni film della trilogia è collegato a un gusto di Cornetto. Entrambi i film usciti (Shaun of the Dead e Hot Fuzz, ndr) fin’ora hanno come scena caratteristica il momento in cui uno dei personaggi principali acquista un Cornetto di uno specifico sapore: in L’alba dei morti dementi il rosso cornetto è al sapore di fragola, dal colore rosso vivace correlato agli elementi sanguinosi e cruenti del film; in Hot Fuzz vi è il cornetto blu originale, per indicare l’elemento poliziesco; per il terzo film il cornetto rappresentativo sarà alla menta con granella di cioccolato, dal colore verde-marrone, per indicare l’elemento fantascientifico. L’uso dei tre colori di cornetto è un riferimento alla trilogia Tre colori di Krzysztof Kieslowski”. Trovo queste informazioni davvero ficcanti.
The World’s End esce il 26 settembre, sarà uno Sci-Fi ambientato non in un pub ma in più pub, e per questo lo aspettiamo a braccia spalancate. A-ridatece un soriso.