LYKKE LI, I Never Learn

Lykke-Li-I-Never-Learn

Ho sentito nominare per la prima volta Lykke Li in un negozio di dischi, di cui in questo momento non ricordo il nome, però non era male, a Stoccolma. Il proprietario era molto simpatico e accomodante, ogni disco era il migliore, ma il migliore di tutti era Wounded Rhymes di Lykke Li, che era appena uscito. Esiste anche il campanilismo svedese. Il padrone doveva essere per qualche motivo attratto dal nostro accento italiano perché continuava a ripetere BELLISSIMO. Alla fine Wounded Rhymes l’ha messo su e l’abbiamo comprato.
E questo è quanto è successo prima che Lykke Li venisse remixata anche da me e dopo Youth Novels del 2008, che ho ascoltato per la prima volta due ore fa e che è talmente vario da non prendere nessuna direzione, e risultare troppo acerbo.
Il nuovo disco di Lykke Li, uscito a inizio maggio, si chiama I Never Learn e l’ho ascoltato molte volte. Lo trovo molto più a fuoco del primo, come già era il secondo, e più credibile del secondo. Non si salvano solo alcune parti. Per esempio, Gunshot è una canzone con una base terribile, ma mi scava una gran tensione dentro – Wounded Rhymes non era riuscito a farlo con nessun pezzo, forse una sola eccezione: Sadness is a Blessing.
La voce di Lykke Li è cambiata e credo che sia una delle voci più tristi che ho sentito in giro negli ultimi tempi. Il salto rispetto al disco precedente consiste soprattutto in questo. Il lato che mi piace di più dell’innegabile evoluzione di Lykke Li nel corso del tempo è il cambiamento imposto alla voce: dall’imitazione di altro del primo disco alla capacità di farsi riconoscere a prescindere dalla musica del terzo, cosa che non succedeva in modo definitivo nel secondo. In un clima da Sinnead O’Connor c’è una specie di voglia di cantare alla Cyndi Lauper addizionata a una mancanza di bolgia molto malcelata, e il nasconderla male è determinante. Voglio dire, un disco come I Never Learn non ha niente da invidiare a un qualsiasi disco di Goldfrapp. Il confronto con Goldfrapp non nobilita per forza, ma è comunque un’autrice più anziana e più esperta che Lykke Li si beve con la sincerità e la voce. Nella voce di Rihanna sento un certo livello di malattia. Ecco, alcune volte quella malattia torna nella voce di Lykke Li di I Never Learn. Si è avvicinata a qualcosa di più personale e non ha replicato sempre e solo la formula del primo disco che le ha dato il successo, vale a dire ritmo tamburatissimo e ritornello in coro forte. Quella formula si ripete in Gunshot, Just Like A Dream, Never Gonna Love Again No Rest For The Wicked, avvicinabili a Youth Knows No PainI Follow Rivers e Sadness is a Blessing. Ma la voce è ancora più spaccata di quella di Cyndi Lauper, che rendeva Cyndi Lauper tutto ciò che era Cyndi Lauper. Lykke Li a tratti la supera scoprendo piccoli crateri nelle corde vocali. Il pezzo più ispirato di Wounded Rhymes (I Know Places) è chilometri indietro rispetto al pezzo più ispirato di I Never Learn (Love Me Like I’m Not Made Of Stone), per la voce.
La tristezza è parte inevitabile della nostra vita. Quando un disco riesce a manifestarla ti trovi di fronte alla materializzazione di uno stato d’animo e se quel disco ti capita per le mani nel momento giusto può essere la catarsi o la fine. Lykke Li per la maggior parte dei pezzi rovescia la cifra stilistica del disco rispetto a Wounded Rhymes, lo ripulisce di quasi tutti i ritmi che la caratterizzavano in precedenza, annientandoli con cori, chitarre acustiche suonate forte, tastiere romantiche o archi che per quanto enfatizzati la rinnovano del tutto. In generale I Never Learn è molto triste, più triste dell’ultima volta, nonostante il disco precedente contenesse il titolo abbastanza esplicito ma confondente Sadness is a Blessing, dove il significato delle parole non collimava con l’effetto dato dalla musica (non che questa sia una regola). E forse là la tristezza era una benedizione, qui è tristezza, quella che non puoi considerare una benedizione perché non ti porta nessuna pace. Nell’intervista a Rumore di questo mese Lykke Li dice che I Never Learn non è un disco triste, ma onesto. Molto bene, secondo me è un disco triste. A parte il fatto che sono io che lo ascolto a doverlo dire, non tu che l’hai fatto, perché l’onestà è facile da dichiarare e perchè il giudizio sull’onestà di un disco deve basarsi su quello che trasmette a chi lo riceve, non a chi lo consegna, perché l’opinione di chi lo consegna è segnata dall’essere direttamente coinvolti nella creazione e dal fatto che in fase di promozione non si potrebbe mai affermare il contrario. Che per Lykke Li sia un disco onesto è già una notizia ma l’onestà suona diversamente per lei e per noi. Sono convinto che si senta se un disco è davvero onesto, I Never Learn è un disco onesto e l’onestà è sempre interessante quando appare autentica, ma in questo caso è vinta dalla tristezza. Un disco triste non sempre è onesto, ma un disco onesto, se è triste, diventa irresistibile.
Il mio atteggiamento scostante di fronte a BELLISSIMO quando ci ha proposto Wounded Rhymes si generò subito, alla prima canzone, e dopo un po’ era come se il disco fosse tutto come quella prima canzone – ed è così, almeno nel timbro e nel livello di eccitazione, cose che un po’ respingevano la mia voglia di proseguire l’ascolto. C’è voluto un po’ di tempo per buttare giù la confusione di quell’album (non confuso come Youth Novels ma insomma), tra Eels, Lamb, Beck, elettro pop, garage elementare, blues del fiume e altre sonorità già sentite. Adesso Lykke Li ha abbandonato tutto questo e ha creato altro e anche dove le sonorità replicano il precedente c’è qualcosa in più che credo dia sostanza all’abulm. Un salto in avanti sinonimo di personalità, presa di posizione diversa rispetto a un disco che sarebbe stato più facile da distribuire se fosse stato esattamente come quello che l’ha fatta conoscere a tutti. Canzoni diverse accostate a canzoni più simili al passato si potrebbero leggere anche come un tentativo di rischiare pur rimanendo legati a sonorità sicure. Se fosse questa la lettura giusta sarebbe comunque un passo in avanti apprezzabile, un tentativo di cambiamento che non coincide con l’adagiarsi sugli allori. Riascoltato, Wounded Rhymes è migliore rispetto al passato, ma manca della profondità negativa di I Never Learn.