
Tutti ad aspettare Italia Terra Selvaggia
Italia Terra Selvaggia non è una rubrica ma è tornata lo stesso e non ha un’intro ma solo uno svolgimento.
Fingere di essere ciò che si è è il primo disco dei Cucineremo Ciambelle, detti anche CiCi, di Rimini. Esce il 22 febbraio per V4V Records e su YouTube si può già ascoltare qualche canzone. I testi sono teneri, parlano di vita e rapporti tra le persone in modo non proprio ottimista. Il genere credo sia emo tipo Dags!, alcune volte Do Nascimiento, altre punk rock con melodie che ricordano i Minnie’s di Ortografia, con punte mathrock e un tocco showgaze senza mai sprofondare nelle sue distorsioni tipiche.
L’emo comunque prevale. È bello che questo genere continui a influenzare i giovani e gli faccia venire voglia di mettere su un gruppo. Adesso meno rispetto a qualche anno fa, ma ogni tanto ne spunta fuori uno nuovo. L’emo è/è stato declinato in modi anche diversi da ognuno di loro, ma spesso mi sono ritrovato ad ascoltarli, annoiatissimo. L’emo chiagnone mi ha stancato, a volte ho detto (nell’emo chiagnone non includo né Dags! né Do Nascimiento, ma Lantern e Leute per esempio). Invece è chiaro che i ragazzi ci ritrovano ancora se stessi. Mi viene da pensare che ora, passato l’ennesimo revival, chi scrive canzoni emo non lo faccia solo per la figa o per suonare un po’ in giro perché come status symbol non è male, ma perché un minimo ci crede.
Incollo il comunicato stampa perché questa volta mi sembra che ci stia: “Nella vita, molto spesso, è difficile essere sé stessi senza dare completamente in pasto la propria intimità al mondo circostante. La paura di scoprirsi troppo porta a schermarci attraverso maschere sociali, abitudini e comportamenti che a volte neanche ci rispecchiano, in una lotta perpetua contro di noi nel tentativo di difendere quello che realmente siamo ma che non vogliamo appaia per paura di ferire e ferirci. Fingere di essere ciò che si è vuole rappresentare nel modo più sincero questa frammentazione quotidiana dell’io rendendosi sfogo e racconto allo stesso tempo, attraverso dieci piccoli spaccati di provincia autobiografici e frutto di semplici esperienze di amore a amicizia”. Il tema è buono. Da giovane lo senti di più, perché è una cosa nuova. Più avanti ti abitui a gestire meglio la questione, perché in qualche modo ti rendi conto che sono necessarie entrambe le parti di te. È il suo ampio raggio a rendere interessante il tema: in qualche modo, coinvolge tutti. Chi c’è dentro adesso fa le proprie valutazioni di stomaco. Chi invece riesce a guardarlo con più distacco, o si rivede di brutto o è semplicemente contento che gli altri se la passino come se la passava lui qualche anno prima. Oppure fa l’adulto e li deride. Comunque, è un tema che si sposa bene con i passaggi jazzati e morbidi della chitarra, con i cambi di intensità del ritmo e gli accenti. È proprio la morte sua. Fingere di essere ciò che si è mi pare comunque che non parli solo di questo, ma anche di altro. O per lo meno affronta tante sfumature del tema. Oggi la penso così, poi magari domani sono più cinico e dico basta con l’emo chiagnone.
Una cosa che non mi piace è la scrittura troppo ripetitiva delle canzoni che finisce per appiattirsi un po’ e appiattire i temi affrontati nei testi nonostante la diversità delle storie raccontate. Non ci sono (nelle canzoni disponibili per ora) passaggi di particolare disarmonia col resto, che staccano su tutto, o idee incredibili che ti bruciano nell’istante in cui le senti. Cucineremo Ciambelle non si discostano tanto da un’offerta già trita, ma ci sento più sincerità rispetto ad altri dischi più o meno riconducibili all’emo.
Non so se sia legale chiamare un gruppo John Malkovitch… Ho visto da poco Transformers 3 e sono ancora su di giri per la sua interpretazione, chiamarsi John Malkovitch! è quanto meno un affronto – e non per via del punto interrogativo – ma sarà l’Alto Tribunale dei nomi delle band a decidere se andranno arrestati. E non sarà l’aver aggiunto quella t che li scagionerà! Anche perché ancora più grave è il fatto che il gruppo a cui s’ispirano praticamente copiandolo si chiami Mogwai.
Vorrei però parlare piuttosto del fatto che l’ep dei John Malkovitch!, The Irresistible New Cult of Selenium (I Dischi del Minollo), è registrato in presa diretta, cioè come se si stesse facendo un concerto ma con il corvo a forma di registratore che ti gira sulla testa. Aggiungerei che si tratta di quattro canzoni che durano in tutto un’ora e undici minuti e in particolare porrei l’attenzione sulla terza e la quarta traccia, della durata rispettivamente di 29 e 15 minuti. Registrarle in presa diretta, anche respirando tra l’una e l’altra, non dev’essere stato facile, nel senso che un conto è in una canzone che dura quattro minuti, che se sbagli al minuto tre e devi rifare tutto non è niente, un conto è in una canzone di 29, che se sbagli al 28° e devi rifare tutto son bestemmie, e soldi. Onore a loro per questa maratona quindi. Ma il disco non aggiunge niente a cose che avevano senso qualche anno fa e che adesso, pur volendo essere “un unicum sonoro in cui l’ascoltatore è totalmente immerso e traghettato verso un viaggio interiore” (cit. comunicato stampa), risultano al contrario essere una piatta riproposizione dei suoni e dei ritmi di quella volta ma chiuso lì. Magari prima o poi ci sarà un revival post-rock che gli darà nuova vita ma per adesso niente da fare.
A suon di virgolettati positivissimi tratti da recensioni su Blow Up, Rumore, Repubblica, Alias, RockIt eccetera (tutti riportati sul comunicato stampa in un elenco certosino), gli Stolen Apple oltre alle pagine dei più importanti giornali italiani vogliono conquistare anche i blog più scrausi e così sono arrivati anche a scrivere alla mia e-mail. I riferimenti musicali sono riportati dai virgolettati di cui sopra: Primal Scream, Television, il Paisley Underground, gli Swervedriver… zzz zzz zzzz…
zzz zzz.. zzz
zzz..zzz
zzzzz..zzzz
z
oh, scusate mi ero appisolato. Tutti parlano bene del loro disco Trenches (in collaborazione con Rock Bottom Records) e non è che io voglia per forza parlarne male, perché è il risultato di anni di gavetta live, è registrato (anche questo!) in presa diretta, “belle storie di altri tempi” (cit. Blow Up), e bla bla. Però ragazzi le canzoni non stanno in piedi, si crogiolano nel loro essere classic rock contro il logorìo dei tempi moderni ma non c’è un’idea del limite che bisognerebbe imporre prima di tutto al bassista poi alle lunghe serenate di chitarra e voce che sbrodolano da ogni dove. E poi tutti suonano il loro compitino e niente di più, non c’è niente che mi abbia fatto pensare che gli Stolen Apple siano vivi per davvero e non semplicemente macchine che riproducono stili e gruppi che gli piacciono tanto. E ho capito che hanno fatto mille live, ma suonano come legni. Il che in effetti è una caratteristica del Paisley e, nell’ottica di essere fedeli a certi modelli, è coerente. Però insomma trovo che manchi proprio la capacità di suonare insieme. Cioè si va a tempo, si, però, non c’è niente che faccia pensare alla volontà e alla capacità di creare un minimo di amalgama. Il tutto incorniciato da una pronuncia inglese che neanche Berlusconi. Chissà perché certe riviste – che mi piacciono anche – parlano bene (presumo, dai virgolettati, non ho letto le recensioni intere) di dischi come questo.