I Live Skull negli anni ’80 sono stati protagonisti del noise rock americano insieme a Lydia Lunch, Swans, Sonic Youth. Erano gli Scratch Acid con le chitarre molto più sopra le righe. Chitarre folli, mai granitiche, sempre ultra dinamiche, che davano vita a un buio lucido, realistico e rappresentativo del lato oscuro di New York, lo stesso di Martin Bisi (con cui hanno registrato tre dischi). Brillavano come la lama di un coltello ma allo stesso tempo si disperdevano nella nebbia dei riverberi. Erano iniettate di malessere: Poison Ivy e Michael Gira stavano proprio dietro l’angolo. Erano dark, come quelle dei Bauhaus, con un taglio post punk e un suono a metà tra gli anni ’70 e gli ’80. I dischi dei Live Skul di quel periodo sono chiaramente di quel periodo. Dall’85 all’88 ne hanno fatti sei, una media di due all’anno. Una prolificità che solo una fotta incontrollata può regalare. Si sono sciolti nell’89. Poi hanno fatto altro, più o meno ognuno per i fatti suoi. Nel 2016, con metà formazione diversa, sono rinati per il 35° anniversario del BC Studio di Martin Bisi e quest’anno (venti giorni fa) hanno fatto uscire Saturday Night Massacre, con la Bronson Recordings. Dopo trent’anni. Ed è qui che si svela il loro nuovo volto: i Live Skull degli anni ’80 non esistono più.
Quante possibilità c’erano che io li vedessi dal vivo in tutta la mia vita? Poche o nessuna. E invece è successo che io sono di Cesena, la Bronson Recordings è di Ravenna, ha iniziato a collaborare pesantemente con Martin Bisi, Martin Bisi ha portato i Live Skull al Transmissions XII, il Transmissions lo fanno a Ravenna, Ravenna è a 38 km da Cesena e io sono andato a vederli. Proprio pochi giorni fa.
È stato un concerto lento. A un certo punto, non mi ero accorto che la ragazza di fianco a me aveva appoggiato per terra un vodka lemon e spostandomi per fare una foto c’ho preso in pieno col piede, l’ho rovesciato, con ghiaccio, limone e tutto. Ero mortificato, avrei voluto ripagarglielo (ne aveva bevuto tipo un sorso) ma non ha voluto. Quando ho smesso di essere mortificato, m’è preso male perchè ho iniziato a pensare “e se qualcuno scivola sul ghiaccio, si spacca l’osso del collo o muore?”. Sono andato al bar e l’ho detto a uno dei baristi sperando mi dicesse “ok, vengo a pulire” e invece mi ha allungato un rotolo di scottex. Ecco, ma perchè vi racconto questa interessantissima storia? Perchè la pozzanghera era proprio sotto al palco, quindi per asciugarla mi sono messo di spalle ai Live Skull. Quando ho finito mi sono alzato, con lo sguardo rivolto al pubblico. Non mi capita mai di vederlo da quella posizione, full frontal da sotto il palco. Stavano tutti ballando, molti con un bicchiere in mano, tutti coi piedi inchiodati, scuotevano solo le spalle e la testa. Il concerto era lento ma tutti si muovevano in quel modo e le chitarre erano la benzina che non gli dava pace e dettava i movimenti. Certo, magari se tutti avessero avuto un bicchiere in mano avrebbero tutti potuto usare anche l’alcol come benzina, e sarebbe stato ancora meglio. Ma ai concerti c’è sempre qualcuno che ti rovescia il bicchiere, no? Never Kill a Client è diventata il mio manifesto della serata: “never kill a client” of a music club lasciandolo scivolare su una pozzanghera che hai fatto tu.
Comunque, è stato lì che ho capito. Guardando tutti i regaz ballare, ho capito che negli anni ’80, a un concerto dei Live Skull, si sarebbero mossi in modo diverso, avrebbero avuto una cosa molto simile alle convulsioni. L’altra sera, invece, muovevano la testa e poco più.
Pum, pum, pum.
E succedeva perchè i Live Skull sono cambiati. Saturday Night Massacre è un disco rock’n’roll in cui le chitarre definiscono un ritmo che in passato era sommerso. Una volta erano il basso e la batteria a macinare ritmo, adesso lo fanno anche le chitarre. E tutto suona più opportuno, oggi. I Live Skull hanno dato un calcio in culo alle impennate improvvise e alle dissonanze e hanno impostato le chitarre su giri più massicci e asciutti, che trovano nella lentezza live il loro centro. La novità per loro non è andare lenti, ma andare lenti con le chitarre così massicce. Vuol dire diventare più potenti. E la potenza e la semplificazione ti dicono chiaramente che hanno più controllo.
(A volte svisano e diventano psycho, ma non la fanno mai troppo lunga).
Saturday Night Massacre, per essere il disco di un gruppo esistito tre decenni fa e ritornato in vita dopo altrettanto tempo, è sorprendente, perchè cambia le carte in tavola rispetto al passato. Quante possibilità c’erano che i Live Skull facessero un disco uguale ai precedenti? Molte. E quante che facessero un disco completamente diverso dai precedenti? Molte, le stesse. 50 e 50. Le collaborazioni post hiatus sono diverse (Ike Yard, Glenn Branca, 3 Teens Kill 4, Chavez, Come, Hungry March Band, Shilpa Ray, eccetera) e non permettevano di prevedere con certezza il percorso futuro. La formazione è cambiata. Dave Hollingurst alla chitarra e Kent Heine al basso hanno portato aria nuova, nel 2016? Può essere. Di sicuro, i Live Skull non hanno ripreso e riadattato, scimmiottato o fatto finta di avere ancora voglia di fare la stessa roba. Hanno tirato una riga. Non aveva senso fare un disco uguale agli altri, ne hanno fatto uno diversissimo e hanno fatto quello che, oggi, è il loro miglior disco.
Al concerto, a un certo punto Hollingurst si è messo a suonare la chitarra con una bottiglia di Poretti da 55 cl. È una roba che faceva solo Raffi alla sesta birra nella sala prove di Sant’Andrea in Bagnolo. È un gesto che significa sicurezza, gestione. Controllo. E vuol dire anche che l’alcol aiuta, in ogni modo. Guai a chi lo spreca.