di Giuseppe Greco
I Boss Hog li conobbi nel 1995 quando pubblicarono il loro secondo album e fu subito amore, a partire dalla bellissima copertina verde e viola con un ritratto a china nera di Cristina Martinez, la cantante, con un ombrello in mano. Bellissima la copertina e bellissima lei. Ma questi sono particolari che in genere non contano. Comunque il disco era grandioso e suonato molto bene, un rock scarno ed essenziale con duetti vocali fra la Martinez e suo marito Jon Spencer, con tre o quattro pezzi che da soli giustificavano ampiamente l’acquisto.
Dopo ben cinque anni uscì il loro terzo album, con la raffinata Get It While You Wait, che mi portò a pensare che stessero dirigendosi verso altre direzioni rispetto ai primi due album, per ricercare una naturale evoluzione con l’età più matura. Invece l’esperienza dei Boss Hog si interruppe così. E niente, erano finiti gli anni novanta – quelli per intenderci dove capitava di accendere la televisione e vedere in heavy rotation su MTV gli Alice in Chains – e col passare degli anni poco alla volta mi dimenticai di loro. Poi, improvvisamente, nel 2016, sedici anni dopo l’ultimo album, ne pubblicano un altro e, non contenti, partono per un tour che, nel 2017, li porta a suonare a Gambettola, in una serra di fragole nella dolce campagna romagnola.
Si, va beh! Ovvio che non sono stati i Rolling Stones, ma da New York City a Gambettola non mi sembrava una gran carriera. Nel frattempo Jon Spencer non era stato comunque immobile e aveva portato avanti altri progetti musicali come i suoi Blues Explosion e gli Heavy Trash, ma comunque la consideravo un’esperienza ormai conclusa e superata che non aveva molto altro da dire. E non era mia intenzione andarli a vedere perché queste rimpatriate, fatte per tirare su qualche soldo, mi fanno tristezza – mi vengono in mente certi esponenti della scena garage degli anni ottanta finiti decenni dopo a suonare in qualche cantina davanti a un pubblico di studenti che neanche sa chi siano, se non che sono stati famosi anni addietro – ma poi, per una serie di circostanze, all’ultimo momento ho cambiato idea e mi ritrovo dentro una serra, a Gambettola, di fronte ai Boss Hog.
I quali, appena incominciano a suonare, mi catapultano nelle stesse atmosfere rockettare dei loro esordi facendomi ritrovare sommerso dalla stessa grinta e maestria tecnica che traspirava dai primi album. Devo ammettere che i miei pregiudizi mi avevano tratto in inganno. La loro musica, a mio giudizio scarna ed essenziale, si è mantenuta tale e vale la pena ascoltarli dal vivo. Alcuni pezzi, come la cover di I Idolize You con il duetto, che fu già di Ike e Tina Turner, fra Cristina e Jon, suonano ancora meglio che nella versione su album del 1995, che per i miei gusti era troppo lenta. Hanno suonato per quasi due ore, volate via in un attimo, per davvero, tanto che quando hanno salutato e sono andati via ho pensato che fosse una pausa. Ma questo forse era colpa anche delle due birre e di un amaro di troppo.
L’ha ripubblicato su amicoputativo.
Grazie