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Il Ravenna Nightmare Film Festival non è più il Ravenna Nightmare Film Festival. Fino all’anno scorso lo era, il Festival Internazionale di Cinema Horror, anche se nel programma di horror c’era poco, e già dagli anni scorsi. Detto chiaramente, non le cose non potevano andare meglio a un festival dell’ignoto: non sapere cosa aspettarsi una volta che sei in sala e immaginarsi (solo immaginarsi: nessuno statement ufficiale) che la Direzione si fosse rotta il cazzo di dare horror per forza e avesse preso una strada che prevedesse la proiezione di tutto quello che in qualche modo avesse a che fare con qualcosa di malato, a tutti i livelli, era bello. Quest’anno per la prima volta è cascata e la svolta è ufficiale: si chiama The Dark Side of the Movies. E questa presa di coscienza è la grande novità del 2016. Nelle parole del Direttore Artistico, Franco Calandrini:
“Dopo avere indagato per oltre un decennio il cinema horror in tutte le sue derive abbiamo pensato fosse giunto il momento di aprire il festival ad altre tipologie di genere. Allargare gli orizzonti verso quel tipo di cinema di cui è composta una quota oltremo- do significativa della produzione cinematografica internazionale non rappresentata nei festival generalisti e spesso, poco e male, anche nel circuito delle sale commerciali, c’è sembrato quindi un atto dovuto. I generi sono sempre più sovrapposti, i confini sempre più labili e ormai etichettare un film come semplice horror o fantasy o crime, sembra sempre più anacronistico. C’è una linea d’ombra, spesso netta ma altre volte quasi impalpabile che separa il cinema d’autore, da quello commerciale a quello di genere, e una zona d’ombra che lo contiene: quella è la zona in cui amiamo stare, quella è la zona in cui ci sentiamo più a nostro agio, quella è la zona che vogliamo mostrare al nostro pubblico in quanto quella è la zona in cui il cinema più vivo ed eversivo a volte arriva a toccare il sublime. È la nostra comfort zone: quella che il nostro Festival occupa da anni e in cui prolifica il lato oscuro del cinema“.
Chiaro chiarissimo. Ma deve comunque intervenire uno spettatore-esattore per mettere i puntini sulle i. Dopo Tragedy at Rodger’s Bay (un russo senza sangue, merda o budella sparse, senza esseri venuti dall’aldilà ma con un sacco di whiteout) lo spettatore, che assomiglia allo Scrondo, aggiustandosi sul naso gli occhiali e intercalando con un “eh” virato sul rumore che fa il tappo del vino quando lo togli, fa la domanda.
“Ma perché mettere un film così nella programmazione di un festival horror?”

(www.ilmessaggero.it) Da un’idea di Luca Argentero
In sala scoppia il disappunto filo-governativo, silenzioso ma assordante. Albert Bucci, da sempre presentatore delle serate, quest’anno su una sedia a rotelle scenografica, spiega la Visione. E a un certo punto dice anche che gli horror che escono sono tutti uguali e non ci sono film di qualità. Abbiamo chiesto alla nostra esperta se è vero.
La nostra esperta Parrucco: “Ma cosa dice Albert?! Quando apro l’extratorrent la prima lista di film che mi appare tra le novità è quella degli horror, il porno-adult è molto più in basso. Tra tutti quelli che fanno non c’è neanche un horror bello? Che poi cosa vuol dire ‘horror’ per Albert? Che c’è del soprannaturale? Non è la definizione giusta, non lo è mai stata, neanche all’inizio. L’horror è quello che ti fa paura, non imposta come. Perché per esempio Nosferatu è un non-morto, un essere ultra-terreno, ma non è lui il problema, il problema è la paura di essere morsati e succhiati. Dietro a un essere soprannaturale c’è sempre qualcos’altro, che è quello che ci fa paura e che è la cosa essenziale che rende ‘horror’ il film. Negli ultimi anni di film horror buoni, almeno secondo me, ce ne sono stati. Neon Demon, che per altro proietti nella rassegna, è un esempio. Forse non arrivano al Nightmare, ma ci sono“.
Simpatica la nostra esperta eh? Tornando allo Scrondo, naturalmente non è soddisfatto della risposta di Albert. Nel pubblico si continua a mormorare.. il cambiamento è giusto.. madonna che chiusura mentale maledetto Scrondo. Nei miei sogni mi sono alzato in piedi e chiedo alla sala se c’è qualcuno d’accordo con lui. Un po’ di ragione ce l’ha oppure è proprio solo un rompicazzo? Perché secondo me, dico alla sala, ne ha zero e Albert invece ne ha da vendere. ‘Horror’ è l’irruzione dell’irrazionalità nella vita quotidiana e già di per sé è molto inclusiva, quindi la Direzione poteva pure lasciarcela quella parola nel nome del festival, ma ha fatto bene a toglierla, potrebbe per alcuni essere fuorviante. La novità della “dark side”, più generica, che permette di includere tutto ancora di più senza vergogna, è giusta. In più, magari, al festival inizia ad andarci anche qualche spettatore in più. C’è qualcuno che non accetta il compromesso e abbandona, come quello che aveva sempre la maglia degli Iron Maiden, che quest’anno non c’era, ma se fai la tara va bene così. Viva il Governo! A morte i ribelli! Uccidetelo.
Nella realtà, sto zitto e mi ascolto cos’ha da dire il regista di Tragedy at Rodger’s Bay, un russo proiettato il secondo giorno di KERMESSE, il miglior film in concorso di quest’anno, secondo me, non secondo la giuria. A proposito di giuria, quest’anno per la prima volta era solo popolare. Era ora che quel branco di barbosi esperti di horror e la loro finta modestia si mettessero da parte. I veri topi da filmacci, quelli che godono davvero quando provano paura e che a casa sbavano di fronte a un torrent con dentro dello schifo, sono quelli in sala, ogni anno. Si votava mettendo una croce su dei numeri un foglietto, da 1 a 5.
La cosa più interessante che ha detto il director è che in quel periodo (anni 30) a Stalin interessava essere contro l’antisemitismo, quindi la fine della storia (veramente accaduta) condanna una persona che in realtà non è colpevole ma solo capro espiatorio del Regime. L’indagine viene condotta da un ufficiale, mandato da Governo di Mosca, convinto di aver scoperto la verità. Proprio come lo siamo anche noi, perché siamo dalla sua, e quindi siamo dalla parte di Stalin. In realtà le cose non sono andate come dice lui. Il film ce lo rivela alla fine: l’assassino è un autoctono. Non è un film contro l’antisemitismo e basta, come poteva sembrare, ma un film contro l’antisemitismo interessato e finto, e ancora più razzista, della dittatura di Stalin. È un film contro Stalin, a favore della Giustizia. Non credo di essere stato chiaro, ma vedendo il film è molto più immediato. 5 (Trucco).
Andiamo in ordine e torniamo al primo giorno, in concorso (e qui facciamo solo i cinque film in concorso) c’era Wonderland. Ci affidiamo ai commenti di due ragazze: “Non hai visto Wonderland? Beato te” e “Wonderland? Ah si, quello che parla solo della fine del Mondo e la fine del Mondo non arriva mai!”. 2.
Ricordiamo che evitiamo come la peste le sinossi perché sono noiose da scrivere. Comunque le trovate tutte qui.
Day Two. Paranormal Drive. La storia si affronta. L’idea della macchina maledetta dentro la quale aleggia lo spirito di una tragedia del passato è potenzialmente una bomba. Una volta che quella macchina si mette in viaggio verso una meta lontana con a bordo una giovane famiglia in crisi può succedere qualsiasi cosa. Peccato che non si capisca se davvero c’è quello spirito e che legame ci sia tra foto, forbici, bambine morte e apparizioni varie e quello che è successoe che succede. Rapido passo indietro: all’inizio del film due bambine beccano il babbo che fa a pezzi la mamma e la mette nel bagagliaio della macchina, il babbo viene arrestato, le bambine adottate, la macchina venduta. Un inizio simpatico e divertente. Un po’ di anni dopo una delle (sicuri?) due bambine deve comprare la macchina col fidanzato. Guarda caso, comprano proprio quella (ma non ne siamo certi: del resto, perché svelarci con chiarezza il punto cardine della storia?), partono per un viaggio con la figlia e inizia l’incubo. Tralasciando il personaggio maschile, al quale vengono attribuite caratteristiche prive di senso – tipo che per motivarci la sua crisi d’amore ci dicono che va a letto con l’altra sorella – sono troppe le informazioni su cui viene lasciato un velo di mistero per rendere la storia intrigante e si finisce per lasciare il dubbio sui collegamenti che ci sarebbero serviti per trovare la storia più quadrata, compiuta e per darle un senso. Naturalmente, alla fine è la mamma a essere pazza e niente di quello che ha visto nella macchina è vero, a parte che ha fatto a pezzi il marito. Paranormal Drive è stato accostato in sala a Christine, la macchina infernale e a Duel. Ma di che. 1 (Trucco).
Terzo giorno. Snow. Il denaro e l’incazzatura dominano il mondo, e solo la figa può distrarci da queste due cose. I piani di due fratelli che organizzano due rapine con i figli sono perfetti. Però, alla prima occasione uno dei due scappa per tenersi tutto ma si perde in un pomeriggio d’amore con una donna. Perdonato, al secondo colpo nasconde il denaro in un posto misterioso. Al che, il fratello s’incazza, giustamente. Tutto viene raccontato con una musica ripetitiva di sottofondo, decisa tanto quanto capace di esaltare il lato grottesco, situazioni-Kaurismaki e un montaggio che incrocia i piani temporali ma arriva preciso sul finale. La produzione di Snow si divide tra Bulgaria e Ucraina e quest’anno mi sono piaciuti i russi: 4 (Trucco e Parrucco).
Villmark Asylum. Non basta una location incredibile (un ospedale psichiatrico abbandonato in mezzo ai monti) per fare un film decente, la storia deve reggere. Gli interrogativi lasciati aperti sono pesanti. L’essere umano smostrato responsabile di tutto, chi è? E la suora? E la bambina che sembra buona poverina e invece è una stronza? All’inizio sembrano fantasmi, poi non lo sono. Ma devi deciderti e devi essere più chiaro. 2 (Parrucco).
Ultimo giorno. Johnny Frank Garrett’s Last Word. Sicuramente è il film più impegnato, più contro la pena di morte, più contro la società che isola ed elimina i diversi, talmente più da fare breccia nel cuore degli spettatori e vincere l’edizione 2016 del festival. Però che palle. Veramente basta una spruzzata di impegnatezza per fare in modo che un film mediocre vinca questo festival? Johnny Frank.. è meno teso di Snow e ancora meno di Tragedy at Rodger’s Bay. L’indagine che il protagonista conduce per capire se JFG è solo un capro espiatorio perché è un ritardato e un bersaglio facile, in certi momenti si blocca, gira su se stessa e la tensione si stoppa. Riprende qualche attimo dopo ma ormai il flusso che potrebbe condurci ininterrottamente alla fine, e in questo modo stremarci, non esiste più.
Il regista, presente in sala, dopo la proiezione ha dichiarato di non credere alla maledizione che avrebbe fatto morire una dopo l’altra in poco tempo tutte le persone responsabili della condanna. Il pubblico ha riso. A me ha fatto incazzare. So che non ci credi, perché devi smerdare così il film? Era una delle cose più incredibili della storia. Visto che è ispirata fatti veramente successi, alla maledizione è già difficile crederci davvero, ma se il regista sdrammatizza rende tutto definitivamente inverosimile. Voglio dire, lui avrà fatto ricerche eccetera, lui sa. Lasciaci il dubbio. 1 a lui e 3 al film (Trucco).
Mancano i corti in concorso, ma arrivano.