Mi piace ascoltare i racconti dei vecchi sulla storia del ciclismo. Non molto tempo fa il babbo della mia morosa ha raccontato che una volta c’era un corridore, Franco Bitossi, che soffriva di tachicardia e a volte doveva fermarsi. Per questo era stato soprannominato Cuore Matto. Tutti i miei parenti più grandi, tra Coppi e Bartali, preferiscono Coppi. Anche mio suocero, anche mio babbo. Mio babbo aveva molta passione per lui, si era comprato anche la bicicletta come la sua, la Bianchi celeste (con manubrio da passeggio). Quando era bel tempo, la domenica mattina andava a farsi un giro in piazza. Poi un giorno ce l’hanno rubata, e in casa mia è finita un’era. Recentemente un mio amico se l’è comprata, uguale. Sospetto possa essere la stessa, che ha fatto un giro assurdo ed è tornata vicino a me, ma non ho ancora trovato un modo sensato per muovere l’accusa. Non so se è un vero ricordo oppure se lo confondo con qualcos’altro, ma mio babbo sulla bici cantava Bellezza in bicicletta. Un po’ perché la saggezza romagnola insegna da sempre che le cose che non possono mancare nella vita di un uomo sono il mattone e una donna, un po’ perché i racconti delle staffette in bici che durante la seconda guerra mondiale portavano il cibo e le armi da una parte all’altra della regione contano oggi lo stesso numero di puntate di The Vampire Diaries e dall’immediato dopoguerra hanno guadagnato un posto di rilievo nella nostra tradizione. Bellezza in bicicletta per mio babbo era tutto questo, mattoni, donne, bici e racconti. Ed era una canzone irresistibile.