Qualche domenica fa ho visto a un bel festival in un parco vicino a casa mia il concerto di una band called Ponzio Pilates. Bel nome, ma non il massimo. C’era un gran casino, tutti ballavano, i componenti del gruppo erano o quasi nudi o vestiti tutti colorati, il cantante urlava “scopa la droga” al ritmo di “lega la lega”. Io ero al di là della siepe e tentavo di rimanere estraneo al trenino del pubblico nel quale tanto nessuno mi avrebbe coinvolto, ma meglio stare dalla parte del sicuro. Le canzoni parlavano di canne, di lavoro, di vita, di saluti fascisti per scherzo, di omosessualità. E anche se i bonghi erano più fastidiosi di un calabrone dentro a un orecchio e più di una volta avrei spento volentieri quella specie di flusso continuo di musica festante, avevano un loro perché e il leader era uno carismatico.