Neneh Cherry torna al microfono, e lo fa insieme a Mats Gustaffson e al suo trio jazz che porta il nome di una canzone di papà Don Cherry: The Thing. Si sono incontrati nel 2010 a Londra: dopo le jam session e i concerti, ecco l’album The Cherry Thing. Domenica d’agosto, può succedere anche questo: Neuroni recensisce un disco jazz. Si salvi chi può. È un disco jazz del tutto peculiare però. Neneh Cherry e The Thing rifanno una serie di canzoni omaggiandone in modo sublime gli autori, oppure fanno se stessi affidandosi gli uni all’altra e viceversa. La tracklist:
Cashback (Neneh Cherry)
Dream Baby Dream (Suicide)
Too Tough To Die (Martina Topley Bird)
Sudden Moment (Mats Gustaffson)
Accordion (MF Doom)
Golden Heart (Don Cherry)
Dirt (Stooges)
What Reason Could I Give (Ornette Coleman)
Mandate a spasso il pop contaminato, l’elettronica. In questo caso non si scherza, si poppeggia ben poco e non gioca per niente con i suoni sintetici. Tutto viene suonato meravigliosamente. Partendo da Dream Baby Dream, cover dei Suicide, che è una sorta di ninna nanna ipnotizzante. Passando per Too Tough To Die, un ritmo incessante, con un basso e una batteria davvero incalzanti, direttamente da Quixotic di Martina Topley Bird. Sudden Moment ti dà come l’impressione di essere in un locale con le mosche che girano attorno al drink fresco che ti stai gustando sotto un ventilatore, mentre fuori ci sono 45 gradi, ovunque, anche dalle parti di Pinarella di Cervia (RA), basta la musica a creare la situazione, non occorre la scenografia; tutto è quasi sussurrato, o meglio, detto molto dolcemente, la voce di Neneh Cherry domina, saxofono, batteria e basso, sotto, girano perfettamente, senza una sbavatura e creando quei vortici in cui apparentemente vieni trascinato solo dal saxofono, ma in realtà il basso ti riempie il ritmo e la batteria ti fa sentire il vibro delle pelli e ti immobilizza, se solo le porgi un poco più in là l’orecchio. Cosa si prova quando Neneh Cherry torna a cantare dopo due minuti di svise strumentali? Stupore assoluto.
Arriviamo ad Accordion e veniamo sorpresi dalla voce che saltella come un grillo. Il basso l’accompagna decisamente sinuoso, fino a quando non arrivano le percussioni a far movimento, definitivamente. Neneh qui sopra rappa di brutto, con rime che tornano in modo meraviglioso. La canzone del papà è Golden Heart, che trasuda (anche) un po’ di dolore: sembra quasi di sentire una delle linee vocali più spaccate di Tricky. Si ripetono all’infinito i rullanti della batteria e le note del saxofono, per le quali ci piace ricordare Ornette Coleman, Ornette Coleman autore di What Reason Could I Give, che ha l’incedere di un pezzo stoner ma ti conquista come un lamento sensuale.
E poi c’è Dirt, che fa della ripetitività un’arma potente, distorta, così come fa l’originale, ma in modo leggermente meno tossico; un’arma addolcita dalla Cherry voice, fino a quando non grida con il saxofono che stride malamente. Lo sporco rimane tutto.
Un album da farci le notti in bianco ad ascoltarlo, nessun dubbio.