The Hunger Games è il futuro, o meglio un futuro, che non desideriamo. Distopia è il contrario di utopia: distopia è un mondo futuro immaginato, in negativo, utopia è il pensiero di un mondo ideale. The Hunger Games è un romanzo distopico. Utopia è la speranza, distopia è l’assenza di speranza, o una speranza ingannevole. The Hunger Games è la speranza che diviene un bene per pochi: alla fine solo uno sopravviverà.
Dal romanzo di Suzanne Collins, Gary Ross ha tratto il film, che, per chi non ha mai letto il libro, come me, rappresenta un ritorno ai temi distopici di 1984 di Orwell (e del film omonimo di Michael Radford), così amati da risultare ancora molto potenti, pur cambiando le epoche, le tecnologie, i metodi della repressione e della violenza del potere politico. I figli degli uomini di Alfonso Cuaron, The Road di John Hillcoat e altri film hanno ultimamente ripreso il tema della distopia. Si, ma non con la stessa aderenza al mondo orwelliano che caratterizza The Hunger Games. A questo proposito, il punto d’incontro è il potere politico totalitario, che controlla e vede tutto.
C’è un secondo riferimento fondamentale: da Battle Royale di Koushun Takami (film di Kinji Fukasaku) The Hunger Games prende l’idea del gioco, che il potere utilizza per dimostrare di essere imbattibile e attraverso cui fornisce la speranza, un po’ di speranza, la cui realizzazione si ottiene solo attraverso una via: la violenza. Perché la vita ce l’hai oggi, ragazzo, ed è una fortuna: per averla ancora domani, lotta, e uccidi chi potrebbe togliertela. Volente o nolente, buono o cattivo, uccidi. Dovrai farlo.
Ma, rispetto ai due grandi precedenti sin qui citati, The Hunger Games cambia leggermente le carte in tavola. 1984 non prevede spiragli di sopravvivenza al Regime. Battle Royale non lascia spazio all’immaginazione, la violenza è esplicita, e non c’è speranza: nel caso in cui sopravvivano più ragazzi, il governo li fa saltare in aria. Attenzione però a Battle Royale II: Requiem, dove i ribelli si organizzano. Ecco il punto di svolta da cui riparte The Hunger Games, che concede respiro alla rivolta popolare. E lascia in secondo piano la violenza.
E se davvero potessimo interpretare la politica di Monti come un hunger game economico? Cioè: tutti vengono posti nella stessa situazione, pagare molte tasse, per vedere chi schiatta prima. Solo che alcuni sono più forti di altri, alcuni sono più grandi di altri, alcuni hanno avuto la possibilità di “allenarsi”, altri no. Perché ci farebbero questo? Perché negli anni abbiamo sempre scelto governi incapaci che ci hanno condotto a questo punto.
Ipotesi partigiane a parte, The Hunger Games è la nuova rappresentazione di un futuro negativo. Scenari apocalittici e disastrosi erano già stati immaginati, in passato, ed erano molto somiglianti ad alcune realtà. Orwell ha scritto 1984 nel 1948, quando ancora era in vita lo stalinismo e poco dopo la conclusione dell’esperienza nazi-fascita. Al di là del rapporto tra tempo di stesura del testo e tempo reale di attuazione delle dittature, una cosa è rilevante: l’uomo è in grado di commettere azioni più che folli, l’hunger game non è poi così irreale.