di Marco Sorre
Ho scoperto che il peggior modo di vedere un film di Allen è guardare il film pensando che sia di Allen.
Sono anni che dico e sento dire “non è l’Allen di un tempo”. Vale un po’ per tutti e più o meno lo pensiamo ogni volta che guardiamo l’ultimo suo film. Anzi, lo pensiamo ancor prima di andarlo a vedere: in fila alla biglietteria, durante la pubblicità e quando mettiamo in modalità silenzioso il cellulare. Durante il film. Dopo il film.
Quindi usciamo dal cinema, per discrezione non ne parliamo nell’immediato, ma siamo preparati. Passa qualche minuto, fingiamo di dimenticarcene e alla domanda “come ti è sembrato il film?” è una gioia rispondere.
So che alla presentazione del film al Torino Film Festival, prima dell’inizio del film, gli spettatori avevano già quel sorrisetto beffardo.
– Come ti è sembrato il film?
– Bella l’idea, ma non è….
Eccheccazzo!
Qual è la soluzione? Andare a vedere il film di Allen dimenticandosi che è un film di Allen.
Quindi, come il più candido degli spettatori, un essere superiore, un cinefilo senza macchia, un invidiabile esempio di imparzialità, mi dirigo al cinema con un gruppetto di complici per la proiezione di un film il cui regista ignoro totalmente. Titolo: Magic in the Moonlight.
In sala, prima del film, sento frasi per me senza senso tipo “I livelli di Match Point sono ormai lontani” o “È da Accordi e disaccordi che non mi ci ritrovo più nei suoi film” e altre cose così, ma io non capisco, non so di cosa parlino, io non so nulla, candido sono.
Inizia il film, ai primissimi titoli di testa mi arriva un messaggio sul cellulare tra il disappunto degli spettatori. Suoneria attiva. È il direttore di Neurone. Spengo il cellulare, torno al film e siamo già alle prime immagini ma mi sono perso il nome del regista.
Sono un invidiabile esempio di imparzialità.
Siamo nel Sud della Francia, nel 1928. Un famoso illusionista inglese, Stanley (Colin Firth), nome d’arte Wei Ling Soo, viene ingaggiato con lo scopo di smascherare una giovane sedicente sensitiva, Sophie (Emma Stone), sospettata di essere mossa da scopi fraudolenti ai danni di ricchi personaggi della Costa Azzurra. Inizialmente Stanley rimane profondamente impressionato da Sophie ma poi… (ctrl+c/ctrl+v Wikipedia).
La magia del titolo è il filtro attraverso il quale vengono rappresentati i luoghi, descritti i personaggi e raccontata la storia. Un illusionista cinico e razionale, profondamene scettico verso tutto ciò che è spirituale, mistico e occulto, si lascia sorprendere da una innocente mistificatrice, la quale, attraverso le proprie “capacità medianiche”, porterà Stanley a una vera e propria conversione rendendolo in grado di innamorarsi.
I non rari momenti di divertissement, i dialoghi e il forte impatto estetico evocano efficacemente l’immaginario dell’epoca.
A un certo punto ho un’illuminazione e vengo colto da una strana sensazione. Mi abbandono piacevolmente a questa emozione e il clima diventa tutto più familiare, riconosco i sapori, il taglio surreale, l’atmosfera da grande commedia americana, sto per azzardare un nome e improvvisamente le mie labbra poche ma impietose parole vogliono pronunciare, ma reprimo tutto e come un cavaliere senza macchia percorro tutto il film fino alla fine senza indugi né pregiudizi, perché impeccabile sono.
Alla fine del film, scappo sull’ultima immagine, prima dei titoli di coda, e senza proferire parola provo ad azzardare una riflessione tra il chiacchiericcio critico degli spettatori all’uscita del film. Che il regista sembri promettente è ovvio e poi mica ci possiamo prendere in giro più di tanto, ma quello che non convince nel film sono alcune repentine scorciatoie narrative, che smorzano la magia del titolo, dove le tracce di romanticismo e incanto, rappresentate non solo dalla storia di passione tra i due protagonisti ma dal film tutto, risultano fin troppo artificiose. Queste scorciatoie narrative a cui alludo sono non tanto nell’evoluzione della storia, (doverosamente e giustamente prevedibile perché quei due si devono innamorare e Nietzsche non può vincere altrimenti tutto va a rotoli) ma nella stanchezza con la quale momenti importanti del storia vengono raccontati e risolti con colpevole pigrizia (il finale su tutti).
All’uscita uno dei complici mi rivolge una semplice e candida domanda: “Che ne dici di questo film di Woody Allen?”.
Maledetto!
Marco
@sorre79
Hey! sarà più dilettevole leggere questo articolo che andare avedere questo film…perché Allen non è più…et cetera…
Sorre da King